Amore che vieni, amore che vai
Una favola di amore e malavita fu il romanzo "Un destino ridicolo", scritto nella prima metà degli Anni Novanta dal compianto cantautore Fabrizio De Andrè insieme allo psicanalista-scrittore Alessandro Gennari.
Di conseguenza, ambientata nella Genova del 1963, è una favola di amore e malavita anche la pellicola che Daniele Costantini, regista di "Fatti della banda della Magliana", ha tratto molto liberamente dal testo, abbandonandosi inoltre alle suggestioni poetiche di classici musicali come "Bocca di rosa", "Via del campo", "La città vecchia" e, appunto, "Amore che vieni, amore che vai".
Una favola di amore e malavita che, al di là di un Fausto Paravidino ("Texas") tutto smorfiette e risatine nei panni del giovanissimo "pappone per caso" Carlo, accompagnato nel giro di controllo serale delle prostitute addirittura dalla madre Lina, con le fattezze della veterana Agostina Belli ("Profumo di donna"), sfoggia un cast tutt’altro che disprezzabile.
Con una certa ironia di fondo sempre presente, infatti, si va dalle "lucciole" Tosca D’Aquino ("Il ciclone") e Donatella Finocchiaro ("Il regista di matrimoni") al contrabbandiere di origine francese Bernard che, interpretato dal sempre grande Massimo Popolizio ("Romanzo criminale"), coinvolge in un colpo grosso sia Carlo che il duro pastore sardo Salvatore, cui concede anima e corpo Filippo Nigro ("Amore, bugie e calcetto").
E, dopo le numerose escursioni tra vicoli, porto e strade notturne del capoluogo ligure, c’è anche un inaspettato risvolto thriller che forse giustifica più di ogni altro elemento la presenza dell’argentiano Franco Ferrini ("Phenomena") tra gli sceneggiatori, mentre un certo sapore vagamente felliniano assumono le situazioni che vedono protagonista la tanto affascinante quanto sfuggente Maritza di Claudia Zanella ("Manuale d’amore 2-Capitoli successivi"), un pò Anita Ekberg, un pò Marisa Mell.
Alla fine, quindi, nonostante l’insieme rischi di apparire leggermente penalizzato da un ritmo narrativo a tratti eccessivamente lento, il giudizio critico può essere comunque riassunto in tre semplici, positive parole: si può vedere.


La frase: "Forse la vita è un gioco, ma sarebbe da stupidi farla diventare una tragedia".

Francesco Lomuscio

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