Amazzonia 3D
Una piccola scimmia allevata in cattività si trova, in seguito a un atterraggio di emergenza dell’aereo nel quale era trasportata, completamente immersa nella natura selvaggia della foresta amazzonica. Timida e impaurita, la piccola Sai impara a conoscere e ad affrontare un mondo sconosciuto e pieno di pericoli, finalmente libera in luoghi che le appaiono oscuri e inospitali, abitati da belve selvagge. Addentrandosi in una vegetazione fittissima e maestosa, la piccola scimmia osserva con curiosità ogni essere vivente, scampa pericoli, fa amicizie e vive numerose avventure.
Il film, a metà strada tra narrazione e documentario, è un inno alla natura, alla verginità e alla purezza. Riprese panoramiche mozzafiato e una fotografia splendida rendono emozionante buona parte della visione. Gli animali sono i veri protagonisti: anaconde, armadilli giganti, avvoltoi, cormorani, giaguari, scimmie urlatrici, tapiri, tucani e quanto altro si possa immaginari. La natura è vissuta dalla terra, dall’acqua, dal cielo e dagli alberi. Alberi secolari e fiumi imponenti costituiscono la casa di questi numerosi protagonisti.
Stephan Milliere, autore e produttore, ha affermato di non voler realizzare semplicemente un documentario che mostrasse le più belle sequenze del comportamento animale, ma di voler “trovare una modalità narrativa che immergesse lo spettatore in un’esperienza pressoché fisica, tuffandolo nei suoni, colori, odori della foresta, nella sua umidità regalandogli quella sensazione di essere sovrastato dalla sua possanza”. Obiettivo raggiunto, si potrebbe dire, anche grazie al ricorso esclusivo ad animali non ammaestrati, né spinti alla recitazione, ma colti in reazioni spontanee, filmati non su un set, ma nel cuore della foresta amazzonica. Il 3d consente poi di sentirsi completamente immersi, con il proprio corpo, in un viaggio sensoriale.
L’unica pecca è in alcune parti testo che accompagna le immagini, fin troppo eloquenti per aver bisogno di essere commentate. Fortunatamente, tuttavia, la voce narrante non è eccessivamente invadente e lascia spazio al contatto diretto con l’immagine, unica vera protagonista del film.
a cura di Simone Arseni
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