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Amabili resti
Come in tutto il cinema del neozelandese Peter Jackson, vincitore del premio Oscar per il "Signore degli anelli - Il ritorno del re" (2003), si avverte non poco una certa importanza conferita all’universo dell’immagine all’interno di questo suo undicesimo lungometraggio, basato sul best seller "Amabili resti" di Alice Sebold e incentrato sulla figura della quattordicenne Susie Salmon (Saoirse Ronan) che, brutalmente assassinata dal vicino di casa George Harvey (Stanley Tucci) in un pomeriggio di dicembre del 1973, continua a vegliare sulla sua famiglia, intrappolata in una dimensione onirica tra cielo e terra.
Infatti, al di là della forte presenza di rullini e macchine fotografiche e dello stesso regista che, con vecchia cinepresa alla mano, compare nel consueto cameo, è proprio questa sorta di magico limbo a consentire di sfoggiare paesaggi e situazioni fantastiche alla "Creature del cielo" (1994), rese dagli ottimi effetti speciali visivi in maniera tutt’altro che distante da quella che caratterizza i quadri più suggestivi (si pensi alla frantumazione delle bottiglie contenenti le navi).
E, complice la riconoscibile macchina da presa jacksoniana in preda alla frenesia, è l’eccellente montaggio di Jabez Olssen ("Il Signore degli anelli - Le due torri") a scandire una vicenda che, illuminata dalla bellissima fotografia di Andrew Lesnie ("Il Signore degli anelli") e caratterizzata da un’attenzione maniacale per i dettagli, oscilla continuamente tra la sete di vendetta della protagonista e il desiderio di vedere guarire i suoi cari ormai sull’orlo del disfacimento psicologico.
Vicenda sceneggiata dallo stesso Jackson, insieme a Philippa Boyens ("King Kong") e all’inseparabile compagna di vita e lavoro Fran Walsh ("Splatters - Gli schizzacervelli"), partendo da una storia che già di suo presentava notevoli potenzialità, ulteriormente impreziosita su pellicola da un lento ma teso ritmo narrativo che coinvolge fotogramma dopo fotogramma, tra suspense e speranza, senza dimenticare momenti che sfiorano l’horror.
Con Steven Spielberg alla produzione esecutiva, Mark Wahlberg ("E venne il giorno"), Rachel Weisz ("La mummia"), Susan Sarandon ("Thelma & Louise") e la televisiva Rose McIven a rappresentare la famiglia Salmon e il succitato Stanley Tucci ("Tu chiamami Peter") in una prova indimenticabile; per un prodotto di cui diversi elementi possiamo forse provare l’impressione di averli già visti in titoli come "Ghost-Fantasma" (1990) e simili, ma non le colte analogie che solo un vero maestro della celluloide può permettersi.
La frase: "L’omicidio cambia tutto".
Francesco Lomuscio
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