Una canzone per Bobby Long
Per questa 61ma edizione della kermesse veneziana del cinema, John Travolta mostra una nuova versione del proprio "sé" cinematografico. Dimenticandosi completamente la versione brillantinata e patinata degli indimenticabili anni '70, per non parlare di quella più contemporanea, altrettanto patinata ma con una straordinaria e ben più intensa luce interpretativa, nel film di debutto della sceneggiatrice Shainee Gabel, l'attore si trasforma in un vecchio disincantato ubriacone rintanatosi nella conturbante New Orleans, nella speranza di dimenticare se stesso e il suo fallimentare passaggio in questo mondo in qualità di professore universitario, marito e padre.
A smuovere le acque torbide forse, ma indubbiamente tranquille del suo quotidiano, è l'arrivo di un'adolescente triste e sola che torna nella città della sua infanzia dopo aver ricevuto notizie della morte della madre.
Riuniti nella casa della donna scomparsa e con l'ulteriore presenza di un ex allievo che sembra occuparsi dell'anziano professore, i tre si trovano costretti ad una inattesa quanto difficile convivenza attraverso la quale riusciranno però a trovare una sorta di riscatto. Sebbene tutti profondamente immersi nella malinconia per un passato indubbiamente doloroso e solitario, i due uomini e la ragazza scoprono di avere ancora voglia di cambiare e migliorare. Nei lunghi e caldi pomeriggi passati a bere e a fumare immersi nel rigoglio della vegetazione o davanti al caldo del caminetto nei freddi inverni, essi aprono i cuori alle parole e a pensieri mai detti. Leggendo le opere di tipi come Carson McCullers, Flannery O' Connor o declamando versi di Dylan Thomas si rivelano le tragiche ferite di ognuno mentre redenzione e penitenza si intrecciano strettamente. E se da una parte la giovane Pursy scopre che i suoi ricordi d'infanzia sono reali e non immaginati come ha sempre creduto, dall'altra l'anziano Bobby Long riscopre un nuovo senso della vita e soprattutto la possibilità di riprenderla in mano e viverla meglio.
Grazie alla lineare regia della Gabel il racconto cinematografico non prevale sui protagonisti che invece si disegnano perfettamente e senza troppe e inutili banalità. Questo però non scongiura lo struggente finale. Che resta comunque piuttosto sopportabile.

Valeria Chiari

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