Alice
Con le fattezze dell’esordiente su grande schermo Camilla Ferranti, forse nota più per aver fatto parte delle presunte raccomandate telefoniche di Silvio Berlusconi che per essere stata attrice nella soap "Incantesimo" e tronista nella trasmissione tv di Maria De Filippi "Uomini e donne", la Alice del titolo, di famiglia benestante ma di umili origini, vive in una città di provincia, dove lavora presso un’agenzia assicurativa ed è perdutamente innamorata di Luca, interpretato dal Giulio Pampiglione visto nel mocciano "Tre metri sopra il cielo" e tutt’altro che propenso a ricambiare il suo sentimento.
Da qui, l’opera prima di Oreste Crisostomi prosegue tirando in ballo una girandola di personaggi che, dalla compagna d’ufficio Angela all’amico omosessuale Sandro, rispettivamente con i volti di Caterina De Regibus e Massimiliano Varrese, contribuiscono in un modo o nell’altro ad accompagnare un ideale percorso di crescita e ricerca interiore della protagonista, il quale non esclude un improvviso cambiamento di look e l’entrata nella sua vita di Carlo alias Antonio Ianiello, collega da sempre ignorato e a lei interessato.
Un ideale percorso di crescita e ricerca interiore che – a partire dal titolo del lungometraggio – lascia tranquillamente pensare ad analogie (in)volontarie con quello della "Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Carroll, tanto più che, in mezzo al contorno di veterani del grande schermo quali Gianfranco Barra, Gisella Sofio, Fioretta Mari e la mitica Anna Longhi, Catherine Spaak, calata nei panni della fioraia cosmopolita senza inibizioni Bianca, sembra quasi incarnare le allegoriche fattezze del grillo parlante suggeritore.
Il risultato finale, però, vittima non poco di un certo televisivismo generale imperante, tra ubriacature e sogni finisce per apparire quasi (???) incomprensibile, lasciandosi apprezzare soltanto per quanto riguarda il curatissimo lato estetico (aspetto sempre più raro nelle nostre produzioni), impreziosito dalla bella fotografia di Antonello Emidi che rende giustizia alla frizzante varietà cromatica sprigionata da scenografie e costumi.
Con ogni probabilità, se lo avesse diretto David Lynch o Federico Fellini la critica avrebbe parlato di innovativo capolavoro dal sapore onirico; per quanto ci riguarda, che dietro la macchina da presa si trovi l’autore di "Inland empire", il regista de "La città delle donne" o l’esordiente Crisostomi, da spettatori in cerca di storie su celluloide sentiamo il bisogno di un cinema che la smetta di camuffare dietro l’espediente dell’allucinazione e del surrealismo la probabile incapacità di gestire un racconto per immagini su schermo.
La frase: "Sono un’imbranata, io non so mai come comportarmi, come muovermi".
Francesco Lomuscio
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