Afterschool
L'ipocrisia pronta a celebrare le sue vittime sacrificali. Sull'uso che i giovani fanno della droga, per il regista Antonio Campos (autore di cortometraggi e documentari, oltre che creatore della propria società di produzione) i punti di riferimento adulti hanno pesanti responsabilità, e manipolano la realtà pur di mantenere lo "status quo". In "Afterschool" le verità dello psicologo del college vengono zittite, in quanto le due ragazze morte - come anche il coetaneo che ha fornito loro le sostanze letali - appartengono a famiglie "bene", clienti da trattare con riguardo. Inoltre, la prospettiva angosciata e critica dello studente (che ha assistito anche al decesso) incaricato del filmino "in memoria di", con i balbettii e l'autocompiacimento del preside, il montaggio a contrasti, la mancanza di musica ad effetto, viene sostituita da un lavoro edulcorato e innocuo. Per mostrare, di contro, un pugno duro che lavi la coscienza, al contempo le autorità impongono perquisizioni all'ingresso dell'istituto, ispezioni casuali, test antidroga, obbligo di richiesta per le partenze nel fine settimana, e diversi alunni vengono sospesi a tempo indeterminato o espulsi.

In apertura, urla femminili terrorizzate e subito dopo immagini di un bimbo che gioca sintetizzano l'indistinta miscela che alimenta la manìa del filmare episodi comici o violenti (arrivando fino ai pestaggi a scuola immortalati col videofonino e alla morte in diretta), rimandati poi a ripetizione sui "PC" in una sorta di ipnosi che genera un'apparente indifferenza emotiva e a volte invece scatena, in seguito, improvvise esplosioni nervose. Campos ha lasciato liberi gli attori, con intere scene girate in un unico piano sequenza per trovare autenticità e l'inquadratura giusta, utilizzando uno stile di ripresa simil-amatoriale e - come equivalente della confusa sospensione psico-sociologica - lunghe sequenze vuote.
Purtroppo, però, a scapito dello spettatore.

La frase: "Credo di non essere una brava persona".

Federico Raponi

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