99 Homes
Alla Biennale di due anni fa Ramin Barhani presentava “At Any Price”, film che si proponeva di raccontare drammi dell’esistenza quotidiana (e profondamente radicati nel contesto americano) trasformandoli in tragedie individuali. In quel caso avevamo Dennis Quaid, Zac Efron e un impero agricolo da gestire in tempo di crisi. Questo era il teatro nel quale si sviluppava una vicenda che intrecciava affresco sociale e drammi familiari.
Anche “99 Homes” si inserisce direttamente in questo filone di ricerca e, anzi, ne potenzia le scelte stilistiche e narrative. La sinossi è la seguente: Dennis (Andrew Garfield) vive nella casa di famiglia insieme al figlio e alla madre (Laura Dern) finché, dopo aver perso il lavoro, viene sfrattato dall’appartamento. Senza soldi e determinato a riottenere la casa, Dennis decide di accettare il lavoro offertogli da Rick Carver (Michael Shannon), l’imprenditore edile che, a suo tempo, l’aveva cacciato di casa, e si va’ allora a scontrare con quel mondo di prevaricazioni e capitali che aveva decretato la sua condanna...
La vicenda che Barhani racconta segue nei dettagli il percorso del suo protagonista, raccontandoci del suo travaglio interiore tramite situazioni, azioni e scelte concrete: il ritmo del film è dettato da una scrittura che mette continuamente a confronto il protagonista con il contesto sociale e le difficoltà proposte dall’esterno, asciugandolo quasi del tutto da ogni sequenza ‘contemplativa’ che possa modificarne tempo e atmosfere. Il film, quindi, va’ avanti come un treno verso la sua meta, non mancando neanche una delle tappe cui ogni eroe classico, assediato dalle avversità del mondo, va’ incontro. La lotta del protagonista, così, si trasforma in una vicenda epica, la tragedia del contemporaneo di cui parlavamo, e tutto nel film è costruito con l’obiettivo di far trasparire il disperato dramma della battaglia di Dennis. Lui e la sua vicenda sono il centro propulsivo e nessuno, pubblico compreso, può scamparne.
In tutti i sensi.
Portando il principio d’immedesimazione alla sua massima espressione, il pubblico sembra non aver altra scelta che partecipare emotivamente ai drammi portati sullo schermo. Il distacco necessario a metabolizzare e osservare criticamente ciò che si ha davanti non esiste. Si tratta, ovviamente, di una consapevole scelta poetica, ma in casi del genere sembra rivelarsi controproducente poiché il carattere critico del film, l’affresco sociale che tenta dipingere va’ sfocandosi nella solita, prevedibile, struttura narrativa. Pur capendo che alla base del lavoro c’è il tentativo di eternare alcune dinamiche umane e far vedere come esse si ripresentino ciclicamente, nel caso di “99 Homes” tutto ciò viene presentato in maniera univoca, troncando sul nascere ogni tentativo interpretativo e soffocando il respiro del film.
Un’opera, quindi, solida e con una sua coerenza, ma che rimane stritolata nel suo linguaggio dogmatico.
La frase:
"Solo una persona su cento salirà sull’arca, gli altri affonderanno".
a cura di Stefano La Rosa
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