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100 metri dal paradiso











Un giovane eccelle nei 100 metri e sta per partecipare alle olimpiadi di Londra, ma una volta compiuti i 18 anni decide di farsi frate. Come conciliare due passioni così diverse? La soluzione è a portata di mano: basta organizzare una squadra che gareggi con i colori della Città del Vaticano. Questa è la vicenda alla base di 100 metri dal Paradiso, una piccola storiella che potrebbe far ridere a prima vista, ma le cose non sono proprio così.

L'idea alla base del film è che la Chiesa possa rivedere la sua idea di comunicazione nei confronti del mondo anche partecipando a gare sportive. La struttura narrativa di 100 metro dal Paradiso è chiara fin da principio e riprende alla lettera la cinematografia sportiva di redenzione. Si comincia con la presentazione dei personaggi e lo sviluppo dell'idea, si continua con la fase di reclutamento della squadra, e lungo la strada vengono disseminati una serie di ostacoli esterni e interni per rendere la situazione più interessante. Il problema vero è che non si capisce bene quale sia messaggio che si vuole comunicare con questa operazione. Ci sono preti e suore, ma il film potrebbe essere ambientato in qualunque altro paese del mondo di modeste dimensioni e di scarsa attitudine allo sport. Ogni tanto viene recitato qualche Padre Nostro, ma il cosiddetto “messaggio” che dovrebbe essere alla base di un'operazione di questo genere è totalmente assente, come se venisse dato per scontato o astutamente celato per non offendere la sensibilità dei non credenti.

Anche se la durata non è eccessiva, ci troviamo di fronte a una pellicola che arranca, che mette al fuoco molta più carne di quanta si possa metabolizzare, allo stesso tempo girando attorno al problema vero: perché realizzare un film sul legame tra Chiesa e sport, legandolo peraltro alle più alte gerarchie dello stato pontificio. Viene il sospetto che dietro a questa scelta ci sia un'idea di marketing molto precisa e che questa pellicola non sia tanto destinata alle sale, quanto piuttosto ai molti circuiti alternativi che può dare la Chiesa cattolica. Senza rendersi conto di dare un cattivo servizio a se stessa. Il che non sarebbe una tragedia, se allo stesso tempo non si contribuisse a diffondere cattivo cinema nel nome di un fantomatico messaggio positivo. Messaggio che in ultima analisi non c'è se, come sembra, in definitiva il fine giustifica i mezzi secondo la peggiore prospettiva produttiva della cultura aziendale di oggi.

La frase:
-"Quindi mi stai dicendo che la Chiesa e la Coca-Cola sono la stessa cosa?"
-"No, alla Coca-Cola sono più bravi".

a cura di Mauro Corso

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