10.000 A.C.
Lunga vita alla C.G.I.: Ronald Emmerich, già mano di “Godzilla” e “Indipendence day”, trasporta oggi la platea in un Neolitico sui generis grazie ai potenti mezzi della computer grafica. Ma non definiremmo ciò che ringhia dallo schermo come un’opera di rottura, ecco. Nella marmellata composita che viene servita in sala, dove si scontrano tigri dai denti a sciabola e supposti eroi, capanne di fango e monumentali costruzioni faraoniche, i libri di storia non trovano posto - ma nemmeno le emozioni.
Seguiamo dunque il protagonista D’leh (Stephen Strait, che evidentemente è uscito indenne dall’Acting Studio di Stella Adler: non ve n’è traccia, nella sua recitazione) tra i ghiacci abbaglianti e le sabbie del deserto nella sua comprensibile ricerca dei rapitori dell’archetipica donzella-in-difficoltà. La dolce Evolet (Camilla Belle e i suoi muti ma splendidi occhi azzurri) non è soltanto sua promessa da sempre, ma anche serbatoio di speranze mistiche per un popolo dal nome impronunciabile che non intende rassegnarsi allo sterminio. In ballo c’è quindi, tanto per cambiare, la salvezza di un intero mondo tribale contrapposto alla malvagia civiltà che alligna al di là di un Sahara ante litteram... Un manipolo di barbuti dotati di dreadlocks jamaicani e igiene dentale da spot si accolleranno il fardello. Nuova Zelanda, Sud Africa, Namibia si avvicendano negli occhi del pubblico col relativo corredo di macchiette razziali e non (la saggia e ospitale tribù africana, il bianco salvatore che si spinge là dove nessun altro aveva osato, la profezia in attesa di compimento).
Ma non sono tanto gli stereotipi a generare perplessità e - diciamolo pure - fastidio nello spettatore avvertito: sorprende, in quest’ennesima sedicente leggenda preistorica, cogliere tante e tali mancanze a livello di script, trama, scelta registica che risulta difficile se non impossibile salvare qualcosa. Nessuno intende imporre a certo cinema di azione e puro intrattenimento il fine di un intento più alto, una qualche velleità nobilmente didattica: i generi esistono e vanno assecondati di buon grado, accettando limiti e mai svilendo pregi. Vocazione primaria della pellicola, inoltre, dovrebbe essere proprio l’arte del raccontare una storia, trascinando chi ascolta e guarda rapito in una dimensione altra. Quello che si presenta invece in questo carrozzone slegato e piuttosto presuntuoso è un sommarsi di elementi non supportati da un plot degno di questo nome (molte le domande che resteranno prive di risposta, molti gli snodi narrativi pretestuosi e mal raccordati) e virate action improvvise ma mai realmente coinvolgenti (l’uso di effetti speciali in 3D non ha sempre i picchi d’eccellenza ambiti, vedi iniziale cors

La frase: Io ora ti libero, ma tu non mangiarmi.

Domitilla Pirro

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