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Zero Bridge
"Zero Bridge", presentato nella sezione "Orizzonti", è l’unico film indiano in concorso quest’anno, primo lungometraggio del regista Tariq Tapa, nativo di New York, che finora si era dedicato alla realizzazione d’interessanti cortometraggi. Unico nel suo genere, il film ha in Tariq Tapa non solo il suo creatore, ma anche scrittore, sceneggiatore e regista, oltre ad esserne il finanziatore, grazie alla sua borsa di studio Fulbright. Per cercare di cogliere appieno lo spirito dei suoi personaggi Tapa non ha esitato a trasferirsi, durante le riprese, in Kashmir. Data l’origine dell’autore la pellicola è una produzione indo-americana, testimone oltretutto delle nuove tendenze del cinema indipendente degli USA. Girato completamente a Srinagar in Kashmir racconta due vite di adolescenti alla ricerca di qualcosa di più dalla realtà che li circonda, desiderosi di trovare qualcosa di più stimolante e diverso. Il protagonista è Dilawar un adolescente che ama studiare e vorrebbe continuare la scuola, ma che a causa delle condizioni economiche è costretto a lavorare con lo zio in un cantiere. Questo, unito al carattere chiuso dello zio Muhammed Ali, lo porta a sviluppare un senso di insoddisfazione profondo spingendolo prima a frequentare brutta gente e dedicarsi a piccoli borseggi ed infine a scappare di casa. Per ben due volte tenta l’impresa rendendosi conto di come gli uomini siano gretti, incapaci di guardare oltre il loro piccolo orto, l’unica persona che sembra capirlo è la giovane e bellissima Bani. Lei è stata in America dove ha studiato fisica e ha scoperto un mondo diverso da quello in cui ora è costretta a vivere, il ruolo imposto alla donna le sta stretto così come l’idea di dover sposare qualcuno deciso dalla madre. Ma come si può infrangere le rigide regole della società, come si può cambiare la propria vita?
"Zero Bridge" racconta un mondo diverso e lontano dalle luci colorate di Bollywood, descrive la realtà senza elementi romantici, senza applicare le ideologie occidentali. Tariq Tapa vuole descrivere, anzi, vuole catturare la realtà così com’è, avvicinandosi così ad una sorta di Neorealismo cinematografico. Il film si apre con lo "Zero Bridge" un omaggio da parte del regista alla sua infanzia e alla sua famiglia, poiché prima della guerra del 1989 era solito giocare con i cugini nella casa galleggiante della nonna sul fiume Jhelum proprio sotto il ponte. Il ponte diventa qui il simbolo della libertà, attraversandolo si potrà raggiungere o avere qualcosa di nuovo, non a caso il protagonista inizia lì la sua strada di borseggiatore, per lui inconsciamente è il luogo del cambiamento buono o brutto che sia, basta che gli permetta di scappare dalla sua realtà, quella realtà che odia tanto.
Che sia un punto di passaggio anche per il regista nato fra due culture molto differenti? Quel che è certo, come lui stesso ha spiegato più volte, le sue opere sono basate sulle vite dei membri della sua famiglia, da cui trae ispirazione. Nonostante egli descriva le sofferenze e la povertà di questa gente il suo sguardo resta comunque distaccato nel tentativo di registrare senza compromettere la veridicità della realtà, anche per questo dopo aver scritto oltre 140 pagine di sceneggiatura ha "abbandonato" lo script per lasciare piena libertà ai suoi attori.
La frase: "Forse è meglio affrontare la vita che infilarsi nei vicoli ciechi".
Federica Di Bartolo
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