Warrior
Lo stesso regista di Pride and Glory (presentato al cinema di Roma nel 2008), torna al cinema come per tentare di rinnovare un genere: quello dei cosiddetti fightingmovie. Botte da orbi come di consueto? Non solo. L’idea del film è nel contrapporre due storie lacrimevoli sullo stesso ring. Casi umani si incontrano, manca solo la nomination.
Due fratelli, i Conlon, che non si parlano da anni, ma sono tra i sedici migliori lottatori al mondo nella Lotta Grecoromana. All’angolo rosso, disperato con famiglia a carico e senza soldi; in quello blu, altro disperato, ex marine di ritorno dall’Iraq, semi alcolizzato e rissaiolo. Si giocano tutto sul ring. Arbitra Nick Nolte? No, lui fa l’allenatore...
Gavin O’Connor fa incontrare in un unico film le tematiche a lui care. La famiglia (come in Pride and Glory), e lo sport (come in Miracle). Quello che riesce a fare O’Connor inaspettatamente è riuscire a rendere entrambe le trame principali, che trascinano il film e lo spettatore, importanti allo stesso modo. Di più, con dei guizzi di regia che spaziano da i vari Rocky a MillionDollar Baby, fino ad arrivare a Lassù qualcuno mi ama, il regista trova l’audacia per descrivere anche le singole (difficilissime) scelte dei protagonisti durante l’incontro sul ring. Telecamera a mano, il regista si dimostra un vero e proprio asso.
In modo interessante, Warrior muove i corpi e li rende protagonisti in un dramma americano di stampo classico. Il sogno americano è quello della seconda opportunità. Avveniva anche nel recente The fighter. Qui però si piange di più grazie alla rabbia, la potenza, e la frustrazione espressa dagli attori. Si va al tappeto, ma ci si rialza più forti.
La frase:
"Ti prego stai attento".
a cura di Diego Altobelli
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