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Vokaldy paralelder
Sessantacinque minuti non sono mai stati così lunghi. E' il primo, naturale commento che passerà per le menti degli spettatori che hanno visto Vocalismi paralleli, qui al Festival di Venezia, dove il film è in concorso nella sezione Orizzonti.
Parlare della trama è impossibile. Sarebbe come descrivere l'immagine di un puzzle di cui abbiamo solamente i pezzi di contorno, un gioco confusionario senza né capo né coda dove l'avventurarsi in una qualsiasi interpretazione avrebbe tanto il sapore di una scommessa dalle quotazioni altissime.
Più facile descrivere come il film si evolve. Una bella ragazza kazaka, assumendo pose da calendario casto, fa un pensierino sulla decadenza della cultura al giorno d'oggi, dopodiché presenta un brano di una qualche opera lirica del passato. Se avete mai visto Non solo moda, una trasmissione di Canale5, avrete chiaro di che tipo di impostazione stia parlando. Fatto sta che, seguita la presentazione, sullo schermo appaiono delle belle donne formose, di volta in volta vestite secondo l'occasione, che cantano. Dei veri e propri videoclip dove l'immagine è fissa sulle performance delle cantanti (soprani e mezzi soprani), visibilmente impegnate nel trasmetterci il proprio coinvolgimento emotivo nella vicenda attraverso una mimica facciale degna del miglior Jim Carrey. Si percepisce che sotto sotto ci sia anche un po' di autoironia, lo confermano il sorriso malizioso della presentatrice ed un paio di battute che due ragazzini si scambiano quasi alla conclusione della "trasmissione", ma non basta a giustificare un film del genere.
Per noi occidentali sentir parlare, senza alcun approfondimento, di Verdi e Rossini, Brahmes e Mozart, sembra un semplice elenco. Forse per un giovane kazako può invece servire per avvicinarsi ad una cultura che non gli è così familiare. Certo è che al Festival film del genere invece di portare interesse verso una civiltà così "lontana" (in realtà, geograficamente, le distanze non sono neanche così enormi) raffredda un poco gli animi.
La frase: "Vedi, ho così tanto male dentro che fuori non provo dolore".
Andrea D'Addio
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