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A Quiet Place - Un Posto TranquilloLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Giacomo Vitali26 marzo 2018Voto: 6.0
Il film di Krasinski, un cocktail drammatico e horror, ambientato fra boschi e paesaggi rurali nella prima parte e in una fattoria desolata nella seconda, si caratterizza fin dalle prime battute per la grande attenzione riservata alla fotografia, e particolarmente agli sguardi e al linguaggio dei segni dei personaggi, specie dei bambini, e alla scenografia, estremamente curata nei dettagli.
La cinepresa si sofferma, nelle prime scene, su primi piani, pose e gesti dei piccoli protagonisti, e su lunghe sequenze descrittive, volte a contestualizzare la narrazione. Siamo sul pianeta Terra, in una regione verosimilmente disabitata o semideserta, in cui mostri deformi e sanguinari, dalle sembianze di pterodattili del terzo millennio, perseguitano senza tregua la specie umana. La regia e la sceneggiatura sono, nonostante le premesse positive ed incoraggianti della pellicola, pressoché assenti: i dialoghi, ridotti all’osso, se pure in parte finalizzati ad accrescere la suspense e insieme il senso di appartenenza e di solidarietà tra i personaggi, non riescono tuttavia ad essere convincenti. Il vero protagonista del film è infatti il silenzio: un’atmosfera sospesa di oscurità e terrore che aleggia e minaccia una famiglia nella sua normalità e nella sua quiete. L’incipit è segnato, in questo senso, da una perdita che inevitabilmente condizionerà gli sviluppi successivi della storia, fino a decretare un esito drammatico delle vicende. La pellicola sconta purtroppo, soprattutto nella prima metà, una lentezza delle riprese che, anziché risvegliare la curiosità e l’interesse dello spettatore, lo induce alla noia e ad interrogarsi incessantemente e senza alcuna risposta sulle ragioni della persecuzione della famiglia e sul significato complessivo della trama. L’intreccio risulta pertanto debole ed esile, seppure venga abilmente compensato dall’interpretazione dell’accattivante Emily Blunt, moglie dello stesso regista. L’attrice, nei panni di una madre di famiglia costantemente in pericolo di vita, riesce a calarsi perfettamente nella parte e a farsi espressione della tragicità del dolore, della paura e della solitudine della condizione umana, qui amplificate e portate alle estreme conseguenze grazie alla cornice horror del film. La scelta di un “mostro” non meglio identificato come antagonista è da ascriversi probabilmente alla volontà della regia di rappresentare plasticamente i peggiori incubi dell’inconscio: una sorta di incarnazione “gotica” e “romantica” di tutte le paure che attanagliano la mente umana. Il finale, che pure non brilla per originalità della composizione, riscatta parzialmente il resto della pellicola e svela quale sia il segreto, l’antidoto tecnologico, progettato da uno dei protagonisti, che può mettere alla sbarra e condannare a morte certa i nemici perversi della società umana. Come già sperimentato in altri film del genere horror, anche qui al male sembra non esserci scampo: soltanto se i protagonisti uniranno le forze e decideranno di combattere insieme, riusciranno a salvarsi e a sconfiggere definitivamente il male. La frase dal film:
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