Un giorno devi andare
Tra i valori che caratterizzano il cinema di Giorgio Diritti c’è senza dubbio il coraggio. Un lavoro come "Un giorno devi andare" è audace perché si propone di riflettere sul ruolo dell’uomo sulla Terra ed oltre la vita, e perché lo fa con uno stile personale scarnificando la storia a vantaggio del linguaggio della natura.
Già la prima, affascinante inquadratura – una dissolvenza incrociata dove un’ecografia fetale si mescola a una luna coperta di nuvole – ci introduce nello spazio cosmico del film e spiega che lo sguardo femminile della protagonista è la prospettiva privilegiata di chi può proteggere e dare avvio alla vita.
Quello di Diritti è un netto rifiuto ad accondiscendere i voleri di un pubblico pigro e svogliato, un reciso no alle paillette narrative.
A cominciare dalle motivazioni che spingono una giovane donna italiana di nome Augusta (Jasmine Trinca) a intraprendere una missione in Brasile presso i villaggi indios insieme a suor Franca (Pia Engleberth). Bisogna raccogliere le informazioni poco alla volta per scoprire che il suo sguardo malinconico e le ragioni del viaggio risiedono in una serie di tragici avvenimenti personali: un matrimonio finito male per l’impossibilità di procreare, la perdita di un padre e – forse – un rapporto algido con sua madre (Anne Alvaro). La ragazza segue la religiosa in un percorso di misericordia verso le disgraziate popolazioni del Rio delle Amazzoni ma presto si accorge che non è la sua soluzione. Sceglie di sposare la quotidianità delle favelas dall’interno, di vivere in soggettiva i sentimenti di degrado e la gioiosa semplicità della gente locale. Insieme al sorriso di Augusta, si apre anche una nuova prospettiva: una famiglia che la accoglie, la speranza dell’amore, un ruolo sociale. Durano poco, però, perché l’avidità e l’egoismo dell’uomo la spediscono in un primordiale esilio alla ricerca della propria identità.
Una parabola intima e metafisica di grande fascino che tenta di raccontare la vastità umana. Troppa carne al fuoco, è questo probabilmente il difetto principale di una pellicola che si srotola, sfilacciata con piglio antropologico tra i "tristi tropici" sudamericani.
La scelta, poi, di affiancare alla narrazione principale quella della famiglia di Augusta in Italia appiattisce l’atmosfera generale e abbassa la tensione emotiva oltre che l’asticella artistica dell’opera.
"Un giorno devi andare", terza parte della così battezzata Trilogia della Comunità, anche se parzialmente incompiuto, è un film molto ambizioso che solo per il fatto di esistere andrebbe premiato con una visione e che ci conferma i grandi mezzi di un regista che fa cinema in modo speculare rispetto alla sua protagonista: cercando una strada nuova e la propria identità. Cercando un giorno dove andare.
La frase:
"Sono scappata dal dolore".
a cura di Nicola Di Francesco
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