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Un'estate ai Caraibi
Dopo la pellicola a episodi “Un’estate al mare”, del 2008, Carlo Vanzina ritenta l’avventura estiva del cosiddetto cinecocomero – affiancato come sempre dall’inseparabile fratello Enrico in fase di sceneggiatura – attraverso un prodotto la cui struttura narrativa, però, segue questa volta il modello consolidato del film corale, incrociando le cinque storie che lo compongono.
Nell’isola di Antigua, incontriamo quindi il bancario meridionale Carlo Buccirosso che, un po’ come l’Alec Guinness di “Last holiday”, è partito da Pavia per concedersi un’ultima lussuosa vacanza prima della sua morte, annunciata da una radiografia ai polmoni che l’amico medico Enrico Bertolino scopre nel frattempo essere stata scambiata con quella di un centenario.
Protagonisti di una serie di divertenti scontri che non risparmiano neppure una citazione dal sempreverde “Una vita difficile” di Dino Risi, invece, arrivano da Roma il cafone “palazzinaro” Maurizio Mattioli e il suo autista-schiavo Enrico Brignano.
Come pure Gigi Proietti che, tra esilaranti mix di dialetti tricolori e lingue straniere, oltre a citare verbalmente il suo Mandrake dei due “Febbre da cavallo”, lo rifà in pratica in una versione trapiantata ai Caraibi, con tanto di ragazzino orfano quale complice delle sue piccole truffe ai danni dei turisti, ricordando sia “Paper moon” di Peter Bogdanovich che “Il monello” chapliniano.
Mentre il dentista napoletano Biagio Izzo, in romantica “luna di miele” con l’amante Alena Seredova, appare sfruttato meno bene del solito, continuamente alle prese con una sequela di gag fisiche alla vecchia maniera che, per fortuna, approdano ad un assurdo e piacevole colpo di coda.
Cosa che non succede nell’irrilevante segmento in cui il dj livornese Paolo Ruffini, depresso dopo aver scoperto che la fidanzata Martina Stella ha un altro uomo, parte su consiglio del collega Paolo Conticini per cadere invidiabilmente, tra palme e mare blu, in mezzo alle braccia della Miss Maglietta Bagnata Jayde Nicole.
Anche se l’insieme, forte soprattutto di uno script ben costruito e capace di sfruttare a dovere il ricco cast di Signori della risata all’italiana, finisce non solo per risultare superiore al suo citato predecessore, ma presenta le fattezze di una godibilissima e ironica favola moderna dai toni ottimisti che i figli di Steno, come di consueto, infarciscono di già esplicati omaggi cinefili e riferimenti all’attualità dello stivale, servendola come fresca bibita di celluloide da gustare all’ombra della tanto discussa crisi.
La frase: "Cose da fare prima di morire: andare ai Caraibi".
Francesco Lomuscio
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