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Torno a vivere da solo
Chi non ricorda Giacomino, ventiseienne studente fuori corso che, con le fattezze di Jerry Calà, gironzolava in sidecar nella Milano dei primi Anni Ottanta mentre si apprestava a lasciare la casa di famiglia per trasferirsi in un loft destinato ad essere frequentato da bizzarri personaggi?
Succedeva in "Vado a vivere da solo", debutto registico di Marco Risi datato 1982 e popolato di noti comici quali Francesco Salvi, Lando Buzzanca e Sergio Di Pinto, cui ora l’ex cabarettista dei "Gatti di Vicolo Miracoli", affiancato in fase di script dal fido Gino Capone sceneggiatore di tanto cinema di genere nostrano, dà un sequel incentrato in maniera particolare sul tema della separazione di coppia.
Questa volta infatti Giacomo, che svolge la professione di agente immobiliare, finisce per ristrutturare il vecchio loft dividendosi dalla moglie Francesca, con il volto di Tosca D’Aquino, la quale, condizionata dall’amica Wendy, nei cui panni troviamo Randi Ingerman, non tarda ad avere un nuovo flirt.
Quindi, abbiamo ancora i poster di Romina Power attaccati sulle pareti, il tavolo con gambe autoreggenti e la mitica tazza punk collegata al juke box per coprire i rumori molesti, ulteriormente aggiornata con tavoletta anti-voyeur, mentre il protagonista viene stimolato ad assaporare i piaceri della vita da single dai suoi amici separati, tra cui Nico, ovvero Don ”Miami Vice” Johnson con accento milanese.
Una trovata tanto trash quanto geniale quest’ultima, tra i motivi principali per poter sprofondare in sane risate nel corso dei 106 minuti di visione che, al di là di apparizioni televisive di Mara Venier e Don Antonio Mazzi nei panni di sé stessi, vedono coinvolti anche l’ex lady Schicchi Eva Henger e la figlia Mercedes, il brassiano Max Parodi, Enzo ”Striscia la notizia” Iacchetti e l’accoppiata Paolo Villaggio-Gisella Sofio nella parte dei genitori di Giacomo.
Senza contare il piacevole ritorno sullo schermo di Piero Mazzarella nel malinconico ruolo di un vagabondo che sembra rifarsi a quello ricoperto in “Un povero ricco” di Pasquale Festa Campanile, per un elaborato che, a metà strada tra la commedia a stelle e strisce ed i prodotti televisivi tricolori, funziona sufficientemente, lasciando anche emergere una certa riflessione relativa alla solitudine odierna ed evitando in maniera intelligente di calcare troppo sull’effetto nostalgia.
La frase: "Del matrimonio la parte più difficile sono i primi trent’anni e poi tutto si aggiusta".
Francesco Lomuscio
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