Ti stimo fratello
Il momento più divertente dei circa 93 minuti di visione è sicuramente quello in cui Jonny, in fissa con la musica house e incarnato dal Giovanni Vernia della trasmissione televisiva "Zelig", si trova a sostenere a Milano, complice indispensabile raccomandazione trovatagli dal padre (il veterano Maurizio Micheli), l’esame orale per entrare nel Corpo della Guardia di Finanza, un po’ come fece Checco Zalone nel tentativo di diventare carabiniere in "Che bella giornata" (2010).
Sempre con le fattezze di Vernia, però, il vero personaggio principale del lungometraggio è il fratello gemello di Jonny (o il gemello fratello, come lo chiama lui), Giovanni, che, laureatosi a Genova in ingegneria elettronica, in maniera analoga al Checco Zalone di "Cado dalle nubi" (2009) è passato dalla Puglia al capoluogo lombardo.
Con quest’ultimo che finisce a lavorare in qualità di creativo per l’agenzia pubblicitaria il cui capo è il padre della fidanzata Federica alias Susy Laude, quindi, è chiaro che non poca sia l’influenza proveniente da colui che ha interpretato il più grande successo della storia del cinema italiano, fattosi conoscere all’interno dello stesso, succitato spettacolo di cabaret del piccolo schermo; come i diversi comici posti qui a fare da contorno, da Carol Visconti a Giancarlo Barbara.
Del resto, mentre la tematica dell’evasione fiscale lega curiosamente la pellicola alle notizie di cronaca diffuse proprio nel periodo della sua uscita nelle sale cinematografiche, è impossibile non ripensare al primo film zaloniano anche dal momento in cui entra in scena un gruppetto di omosessuali destinati a stringere amicizia con Jonny.
Ma, a differenza di quanto lodevolmente fatto da Gennaro Nunziante nelle sue due pellicole, Paolo Uzzi, affiancato al timone di regia dallo stesso protagonista, non sembra essere capace di fondere il modo di far ridere del tubo catodico (o del digitale terrestre, se preferite) con i necessari ritmi del grande schermo.
Infatti, mentre abbiamo anche Diego Abatantuono coinvolto in un ruolo marginale (d’altra parte, produce il Maurizio Totti che finanziò "Happy family" e "Io non ho paura") e l’ottimo Paolo Sassanelli nei panni di un maresciallo della Guardia di Finanza, tra affollate discoteche e innamoramento da parte dei due protagonisti per la medesima, giovane cameriera, lo spettatore si trova dinanzi a uno spettacolo tanto martellante quanto poco coinvolgente.
Un po’ come buona parte della brutta, tutt’altro che culturalmente appagante televisione italiana d’inizio XXI secolo, fino ai titoli di coda animati di un’operazione non pessima, ma realizzata con non indifferente approssimazione (basterebbe citare le inquadrature in cui Vernia interpreta entrambi i fratelli che si parlano l’uno davanti all’altro).
Oltre che – aspetto più grave – raramente in grado di strappare risate.
La frase:
"Ora capisci perché non ti ho mai parlato di mio fratello, è la pecora nera della famiglia".
a cura di Francesco Lomuscio
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