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Tigerland
La guerra del Vietnam ha segnato indelebilmente gli animi americani: una parte di Storia simile del resto non è facile da assimilare, né tanto meno da trascurare. Sono stati moltissimi i registi a decidere di affrontare l'argomento e nel bene e nel male sono riusciti il più delle volte ad essere originali. È il turno di Joel Schumacher che con "Tigerland" racconta fatti realmente accaduti durante l'addestramento militare di Ross Klavan, autore della sceneggiatura, richiamato nel 1971 tra i riservisti dell'esercito e spedito nel reparto di fanteria avanzata di Tigerland, appunto.
A Fort Polk, in Luisiana, il plotone di fanteria della "Compagnia A" sta entrando nell'ultima fase di addestramento. Ognuno dei protagonisti sfida a modo suo lo spettro dei combattimenti che dovrà presto affrontare in Vietnam. Fra tutti spicca Roland Bozz che dopo esser uscito dalla prigione della base vuole lasciare l'esercito e, per raggiungere lo scopo, organizza azioni di protesta. Le resistenze del giovane soldato stimolano i compagni a reazioni inaspettate, pur non riuscendo però a fargli evitare la partenza per Tigerland, il campo di addestramento progettato per preparare i soldati ai combattimenti nella giungla.
Impressionato dalla filosofia di purezza del Dogma '95, Schumacher decide di allontanarsi inesorabilmente dalla perfezione, e gira in sedici millimetri. Le due macchine da presa a spalla, utilizzate contemporaneamente sul set, confondono gli attori e paradossalmente li rendono ancora più naturali. Una scelta stilistica deliberata, studiata a tavolino con la collaborazione del direttore della fotografia per creare un atmosfera documentaristica e rispettare il punto di vista di un soldato semplice, posizione estremamente significativa nella sceneggiatura.
Girato in soli 28 giorni nella base militare di Starke in Florida, il film a basso costo di Schumacher è stata una vera avventura in cui tutti hanno fatto sacrifici, gli attori per primi. La mancanza di qualsiasi tipo di lusso o comodità, dal trucco alle controfigure, oltre al corso di addestramento di due settimane a Camp Blanding, sono stati senza alcun dubbio uno straordinario aiuto per concentrarsi sulla recitazione, pur nella fatica di un'esperienza simile.
Attirato dall'aspetto intimo ed interiore della vicenda il regista mescola prodigiosamente durezza e sensibilità, raccontando con severità un momento storico indubbiamente importante ma che ha trasformato troppi giovani in soldati, usati senza scrupolo da una spietata macchina da guerra.
Valeria Chiari
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