The Wedding Party
Negli ultimi tempi si assiste al proliferare di questa forma di commedia rosa, insieme cinica e demenziale su cui studiosi e (soprattutto) studiose dell’interpretazione cinematografica potranno scrivere fiumi di inchiostro circa il ruolo e la figura con cui mostrano la donna contemporanea. Prima di entrare nel merito della sociologia, va sottolineato però che questa produzione è diretta da una regista che ha adattato la sceneggiatura da una pièce teatrale che aveva tutt’altre intenzioni: un dramma per riflettere a proposito delle difficoltà della donna moderna, le sue contraddizioni, le sue paure.
Il titolo del film originale, "Bachelorette", riporta il segno sulla commedia: intraducibile in italiano (la cui traduzione si mantiene su un livello di fastidiosa neutralità) richiama immediatamente l’intera vicenda sul piano dello humor; in effetti, il film mantiene in tutto e per tutto gli aspetti della commedia leggera, ritmo, gag, dialoghi, plot con rush finale.
Kirsten Dunst tiene saldamente il centro della vicenda imponendosi come protagonista più per proprio merito che per la sceneggiatura: lievemente invecchiata, mantiene saldamente il ruolo di donna che lotta per la sua emancipazione con tenacia e ostinazione, al limite del comprensibile. Anche in questo impegno sicuramente non gravoso a livello attoriale, Kirsten dimostra di essere ormai matura per ruoli di primo piano. Il duetto formato dalla coppia Fisher – Caplan ha il merito di colorare l’intero intreccio di gag slapstick e serratissimi dialoghi; sicuramente non riescono a esprimersi al meglio data la connotazione troppo macchiettistica dei loro personaggi.
SI mantengono su un secondo livello di narrazione le love-story che le tre amiche coltivano; tuttavia è proprio in queste sotto-trame che si intravedono le direttive del dramma teatrale da cui è tratto il film. Queste tre donne incarnano la modernità femminile: l’ostinata e caparbia ricercatrice della propria affermazione, professionale e sentimentale; la rabbiosa e cieca che rifiuta le ferite passate e si getta nel confusionario mondo della seduzione ostentata; la superficiale e infantile commessa che non conosce un vero legame. È impietoso il ritratto che Leslye Headland, la regista, traccia della donna. Ancora più forte è la risposta che il plot sembra fornire: quand’è che le tre amiche riescono a trovare la pace a lungo cercata? Quando gli uomini (poco più che comparse nell’intera trama) si pongono di fronte a loro con decisione e indicano loro il ruolo da ricoprire. Le donne trovano il loro posto perché gli uomini ce le pongono: si può aprire il dibattito...
La frase:
"Fanculo a tutti!".
a cura di Matteo Brufatto
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