The Tulse Luper Suitecases. Episode 3: Antwerp
Prima di tutto un avviso: se non siete dei veri cinefili amanti di pellicole decisamente "borderline", non andate a vederlo, altrimenti uscireste al decimo minuto, maledicendo me e tutti i miei discendenti per tre generazioni.
Detto questo il film di Peter Greenaway (Il ventre dell'architetto) č una sorta di collage digitale di immagini. Sedici ipotetici episodi per i quali non c'č alcuna trama, o meglio dovrebbe essere qualcosa tipo: Tulse Luper (JJ Feild) č un inglese che si trova in Belgio per il National Geographic, ma in realtā č, forse, una spia. Mettiamolo sotto torchio e vediamo cosa ne esce. Esaminiamo tutti i suoi scritti ed i suoi bagagli (le suitcase appunto). Post Scriptum: il Belgio č una nazione fascista, l'America č nazista come la Germania ed i treni vanno solo in quest'ultima, perché tutto il resto del mondo non ha ragione di esistere. e comunque l'ultima cosa che appare sullo schermo č: "to be continued".
Quindi, dicevamo, non c'č trama. L'esito finale, che andrebbe visto almeno due o tre volte per potere essere apprezzato nella sua totale complessitā, č questo insieme di immagini totalmente coinvolgente.

Giā i titoli di testa sono un montaggio di scene dei provini che perō hanno la stessa potenza del film stesso. Per il resto č stato girato tutto in digitale (Greenaway ha affermato che non vuol pių sentir parlare di 35 mm) e rimontato, tagliato,incollato, virato e sovrapposto per creare l'affresco finale. La sensazione che resta impressa č di trovarsi catapultati nella sceneggiatura di Brazil di Terry Gilliam, ma in versione fumetto. Con parole sovrapposte alle immagini o azioni ripetute in riquadri all'interno della scena principale.
Un unico appunto la scena finale con dieci minuti di declamazione di stazioni da parte di una Valentina Cervi spaesata, č da Prozac, un piccolo taglio non avrebbe minimamente guastato.

Vi lascio con una domanda? Quale č secondo voi il simbolismo della vasca da bagno onnipresente.

Valerio Salvi

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