The King of Kong: A Fistful of Quarters
In tempi di Gamecube e Playstatio, chi parla ancora dei vecchi Atari, Nintendo, Amiga e Commodore appare come primitivo, un pesce fuor d’acqua in questa era di giocabilità massima e quasi realtà virtuale.
Eppure qualcuno che continua a giocare a Pacman, Space invaders, Asteroids, Mario Bros e tanti altri, continua ad esserci.
The king of King Kong, parla proprio di loro. Ragazzi, ormai diventati uomini, che tuttora organizzano sfide e tornei, che tengono aggiornate le classifiche con i top-scorers per ogni vecchio videogame. Record che durano da vent’anni, ma non per questo sono lasciati alla storia: qualcuno che ancora prova a superarli c’è, e la competizione che ne può nascere ha conseguenze che vanno al di là del semplice divertimento.
Così è per la storia documentata da Seth Gordon. Un racconto che prende in considerazione due anni della vita di Steve Wiebe.
Licenziato dal lavoro, e sempre alla ricerca di un qualche ambito che riesca a mettere in luce quel talento che si sente dentro, si impose di battere il punteggio massimo di Donkey Kong, detenuto da due decenni dal famoso Todd Rogers.
Partendo da questi due personaggi, Gordon riesce a costruire un film che va al di là del documentario, grazie a quella struttura in tre tempi tipica dei film dramma/d’azione. La fortuna ha infatti voluto che tra i due personaggi principali della storia, si creasse non solo una rivalità ricca di suspanse, ma anche una serie di “sorpassi” pari, per tensione, a tanti altri famosi duelli cinematografici. Tanto è avvincente la storia, che spesso si ha la sensazione che sia tutto inventato, che sia tutta una scusa per ridare luce ad un mondo forse un pò dimenticato, ma così non è: c’è troppo coinvolgimento nei protagonisti, troppo sé stessi, perché si possa pensare che in certi momenti abbiano potuto mettere da parte l’orgoglio e fare “figuracce”, per piegarsi all’efficacia di una sceneggiatura. Messi comunque da parte questi discorsi, rimane il fatto che “The king of Kong” sia un film tanto divertente e intenso da meritare una distribuzione successiva alla presentazione che ha avuto alla seconda Festa del cinema di Roma.

La frase: "Il lavoro è per chi non ha mai giocato ai videogames".

Andrea D’Addio

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