Infedele per caso
Ridere sulla fede si può. Se nel 2004 lo fece lo svizzero-tedesco Dani Levy con "Zucker – Come diventare ebreo in sette giorni", con l’"Infidel" la macchina da presa è passata nelle mani dell’inglese Josh Appignanesi, figlio della celebre scrittrice ebrea Lisa Appignanesi. Stavolta il tentativo è più ambizioso: ironizzare non solo sull’essere ebrei, ma anche sull’islamismo, mettendo al centro di una storia un inglese pakistano che, a più di cinquant’anni, scopre di essere stato adottato quando era ancora in fasce. E’ cresciuto come mussulmano, ma era nato da genitori ebrei. La rivelazione lo costringe ad avvicinarsi ad una religione che aveva sempre rifiutato fino a quel momento, preferendo affidarsi ai classici luoghi comuni che si utilizzano quando si vuole demonizzare colui che si ritiene sia un avversario, ma che avversario non è, se non in una terra lontana. Peccato però che il suo percorso di avvicinamento verso "l’altro lato del marciapiede" (simboleggiato da un vicino di casa un tempo detestato, e per l’occasione diventato amico), sia pieno di equivoci e non d’aiuto per il matrimonio che il suo ragazzo realizzerà a breve con la figlia di un fondamentalista.
Come superare il problema?
"The Infidel" riesce nell’impresa di ironizzare senza prendere in giro, un rapporto di cui spesso si ha paura a parlare: ebrei e mussulmani. Senza prendere nessuna posizione, se non quella di sdrammatizzare, il film poggia tutto sulle spalle del suo interprete principale, Yigal Naor (uno dei più importanti attori israeliani al mondo). Il conflitto interiore che anima la vicenda, e che potrebbe essere degno di articolate riflessioni, viene esplicitato sul grande schermo senza volere entrare davvero nella vicenda, accontentandosi delle demenziali espressioni facciali del protagonista o di qualche onirica scena basata su timori di blasfemia e contraddizioni religiose. Non si ride tanto, né si può dire che la pellicola abbia la qualità di altre commedie etniche inglesi come "East is East" (dove figurava nel cast la stessa Archie Panjabi che qui interpreta la moglie del protagonista, e che nel frattempo è diventata famosa con il legal-serial "The good Wife"), ma il coraggio di alcune soluzioni visive e soprattutto lo spirito di allegria che regna su tutta la narrazione, fa uscire dalla sala comunque di buon umore. Ci si può accontentare, ma l’argomento era così forte e interessante che la sensazione che si poteva curare un po’ di più la sceneggiatura (scritta dall’americano David Baddiel) è difficile da non provare.

La frase:
- "Antisemita!"
- "Islamofobico!"

Andrea D'Addio

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