The Humbling
Due anni dopo il suo ultimo lavoro, il regista premio Oscar (“Rain Man”, 1989) Barry Levinson presenta il suo nuovo film, “The Humbling”, e sceglie Venezia, nella sezione Fuori Concorso, per promuoverlo. La sua è una carriera che si muove tra alti e bassi, tra grandi successi e pellicole passate in sordina. L’attesa per “The Humbling” era legata, più che al nome del regista, a una preannunciata grande interpretazione di Al Pacino, che oggi sarà presente al Lido anche in veste di protagonista di “Mangelhorn” di David Gordon Green. Ad affiancare la leggenda è chiamata una stella in ascesa, Greta Gerwig, apprezzata ultimamente per il suo ruolo in “Frances Ha”.
Il film narra di Simon Axler, grande attore del passato che, ormai rifugiatosi nel suo mondo di immaginazione, si lancia giù dal palco durante uno spettacolo a Broadway. Trascorsi dei mesi in una casa di recupero, dopo un incontro grottesco riesce a tornare a casa convincendosi di cambiare vita: addio al teatro, addio alla carriera d’attore, per il bene della propria salute mentale. Tutti i buoni propositi incontrano un enorme ostacolo quando alla sua porta bussa una ragazza molto più giovane di lui, Pegeen. I due, nonostante lei sia dichiaratamente omosessuale e ossessionata da lui solo in quanto attore, iniziano una relazione che porterà alla convivenza. Lui innamorato, lei egoista: Simon si riavvicina sempre di più al baratro da cui era appena riuscito a riemergere.
Barry Levinson porta sullo schermo un adattamento (di Buck Henry e Michael Zebede) di “L’umiliazione”, romanzo scritto da Philip Roth e pubblicato nel 2009. In questa operazione si addolciscono molti dei punti più duri, a partire dall’abolizione di (quasi) ogni traccia dell’erotismo dilagante nel libro. Si opta per un approccio intimo, per uno sguardo affettuoso che osserva un uomo disperato spogliarsi pian piano di tutta la sua dignità, riducendosi a triste cliché. Con la sua macchina da presa dai movimenti estremamente fluidi, però, Levinson non ci vuole assolutamente portare alla commiserazione, ma dentro l’animo di chi, consapevole di essere di fronte alla propria ultima possibilità di vivere davvero, è disposto ad annullarsi. E ciò è possibile grazie a una prova eccezionale di Al Pacino.
Tuttavia, la lunghezza del film, pur non eccessiva (112 minuti), si sente tutta, forse per colpa di un ritmo non costante e della non piena riuscita dell’operazione di connettere solidamente alcuni segmenti tra di loro. Le emozioni non sono estranee, ma c’è poco di tutto: è vero che un po’ si ride, un po’ ci si arrabbia, un po’ ci si commuove, ma per colpa di quell’”un po’” alla fine non resta niente di veramente forte.
La frase:
"Il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e tutte le donne sono i suoi attori".
a cura di Luca Renucci
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