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Il messaggero
Quando ci si trova dinanzi a un prodotto horror riguardante una casa infestata da entità maligne e ispirato a una storia realmente accaduta, è quasi impossibile non scovare similitudini con l’ormai classico "Amityville horror", anche se, nell’assistere all’arrivo della famiglia Campbell nella loro nuova abitazione vittoriana nel Connecticut del 1987, prima del film diretto da Stuart Rosenberg torna alla memoria il poco conosciuto tv-movie "La casa delle anime perdute" di Robert Mandel.
Ben presto, però, il primo lungometraggio cinematografico di Peter Cromwell – fattosi notare dai produttori hollywoodiani con il pluripremiato short di animazione "Ward 13" – prende nettamente le distanze dai due modelli citati tirando in ballo l’oscuro passato della dimora, un tempo camera mortuaria dove il figlio chiaroveggente del proprietario si prestava da messaggero demoniaco, ovvero fungeva da "ingresso" al passaggio di spiriti sinistri.
Quindi, mentre l’orrore torna ovviamente a manifestarsi, Cromwell sfrutta a dovere il buon cast comprendente la Virginia Madsen di "Sideways-In viaggio con Jack" e il televisivo Kyle Gallner, immergendolo in un teso spettacolo che, particolarmente curato per quanto riguarda fotografia e scenografie, guarda al cinema della paura vecchia maniera soprattutto attraverso il tipico uso del sonoro per generare spaventi, pur senza dimenticare il grafico sensazionalismo da terzo millennio, testimoniato da apparizioni improvvise e da inquietanti visioni destinate a coinvolgere liquido rosso, vermi e spettri dalle fattezze zombesche.
Tutti elementi che contribuiscono a rendere visivamente affascinante l’operazione, ben diretta e ulteriormente impreziosita dalla presenza dell’ottimo Elias Koteas di "Tartarughe ninja alla riscossa" nei panni del reverendo Popescu, ma che individua forse la sua unica piccola (???) pecca nello script a firma dei veterani del genere Adam Simon e Tim Metcalfe (il primo ha diretto "Carnosaur-La distruzione", mentre il secondo sceneggiò "Ammazzavampiri 2"), questa volta solo in grado di sfiorare a malapena la linea del senza infamia e senza lode.
La frase: "Io penso che ci sia qualcosa di malvagio in questa casa, una presenza non più in vita ma neanche morta".
Francesco Lomuscio
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