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The Gunman











Jim Terrier (Sean Penn) ufficialmente lavora in Congo come agente di sicurezza per una delle tante ONG che si occupano di aiutare le popolazioni in difficoltà.
In realtà però si occupa anche di ben altro.
E', infatti, un killer al soldo di una multinazionale che ha tutto l'interesse perché la situazione politica del luogo resti immutata. Quando gli viene ordinato di uccidere un politico locale, Jim è costretto a lasciare il Congo immediatamente dopo la missione, senza neanche avere la possibilità di salutare Annie (Jasmine Trinca), la donna che ama.
Passano otto anni ma il passato di Jim è difficile da dimenticare e, quando sopravvive quasi per miracolo ad un attentato evidentemente orchestrato per eliminarlo, è costretto a tornare in azione per scoprire di chi sia la mano che lo vuole morto.
Si muoverà in lungo e in largo per l'Europa, trovando sul suo cammino vecchie conoscenze dai trascorsi non proprio immacolati, ex compagni dalla morale piuttosto discutibile e qualcuno ancora disposto a credere in lui.
E forse anche una nuova possibilità con la donna che non ha mai dimenticato.
E' un senso di fastidio misto a pietà quello che avvolge l'improvvido spettatore che dovesse aver commesso l'errore di approcciare questo The Gunman.
Fastidio innanzitutto per un budget così importante (40 milioni di dollari) scialacquato in location certo suggestive, ma che nulla possono di fronte al vuoto pneumatico di una sceneggiatura che eredita dagli anni Ottanta tutti i peggiori cliché del revenge movie à la Tony Scott facendosene addirittura un vanto.
Per quanto il regista, Pierre Morel, una riguardata a L'ultimo boyscout prima di mettere mano a questo obbrobrio, avrebbe potuto anche darla.
Fastidio per un cast stratosferico usato come peggio non si poteva, con Bardem che fa il matto a comando e Idris Elba costretto a recitare come se fosse stato prelevato di peso da una qualsiasi puntata di Luther.
Fa eccezione giusto Ray Winstone, sempre perfetto quando c'è bisogno di un criminale acciaccato dalla vita, ma il valore aggiunto della sua presenza è letteralmente azzerato da quella, davvero priva di senso, di una Jasmine Trinca spaesata e per niente suo agio neanche da un punto di vista linguistico.
Poi c'è il fastidio peggiore ed è quello relativo alla scelta di coinvolgere in questo disastro uno dei capolavori massimi del moderno noir francese, quel Posizione di tiro di Jean-Patrick Manchette ingiustamente tirato in ballo come matrice letteraria di The Gunman, laddove la parentela tra le due opere si limita giusto al cognome del protagonista e a una linea narrativa che è comunque identica a qualsiasi altra storia che ruoti attorno a uno stanco antieroe incastrato dai suoi stessi complici e quindi, giustamente, desideroso di vendetta.
Qualora qualcuno, arrivato a questo punto della lettura, si stesse chiedendo il motivo per cui nulla sia ancora stato detto su Sean Penn, sappia che la seconda parte di questa recensione è quasi interamente dedicata a lui.
Ed è qui che entra in gioco la sensazione di pietà di cui si parlava all'inizio, intesa però più come pietas che non come vera e propria pena.
Perché è davvero un mistero cosa possa aver spinto un attore due volte premio Oscar, dotato della sensibilità artistica di Sean Penn, a lasciarsi coinvolgere non solo come attore, ma come produttore esecutivo e addirittura anche in sede di sceneggiatura.
Si resta, infatti, senza parole di fronte al trionfo insensato di steroidi e bicipiti messi in bella mostra dall'attore cinquantaquattrenne per tutta la durata del film.
L'attenzione verso il lato più muscolare della performance di Penn è tale da azzerare qualsiasi forma di espressività dal suo volto, istillando più di una volta nello spettatore il dubbio di stare assistendo a una sorta di spin-off malriuscito de I mercenari.
Se invecchiare dignitosamente, almeno per un attore del calibro di Penn, dovrebbe essere considerato qualcosa di molto simile a un dovere, la sua partecipazione a The Gunman non lascia affatto ben sperare al riguardo.
C'è un momento del film, in particolare, in cui Sean Penn confessa a Jasmine Trinca alcuni particolari del suo oscuro passato dicendo di aver fatto delle cose molto brutte.
Si riferisce chiaramente al suo passato da sicario ma al romantico che è in me piace pensare che quello possa essere un messaggio subliminale rivolto ai suoi fan in cui, in qualche modo, chiede scusa per quello che li sta costringendo a vedere.
Due parole infine sulla regia di Pierre Morel (ex pupillo di Luc Besson e già responsabile della svolta action di Liam Neeson nella serie Taken) che ha un tasso di cafonaggine quasi inimmaginabile, piena com'è di esplosioni un tanto al chilo, scene d'azione confuse e la totale mancanza del benché minimo pathos.
Giusto per tacere della banalità offensiva della scena costruita sul montaggio alternato tra le immagini di un toro abbattuto durante una corrida e quelle di Penn che sembra cadere sotto i colpi dei suoi avversari.
Sia chiaro, se il protagonista di The Gunman fosse stato Jason Statham e il dispendio di mezzi profusi dalla produzione meno importante, forse non ne staremmo parlando così male.
Ma forse non ne staremmo parlando affatto.
Perché The Gunman è un lussuoso B Movie che non fa bene a nessuno, né a chi lo vedrà né, soprattutto, a chi lo ha realizzato.

La frase:
"Ho fatto delle cose molto brutte".

a cura di Fabio Giusti

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