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The Founder

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio15 dicembre 2016Voto: 7.5
 

  • Foto dal film The Founder
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L’incontro-scontro tra due imprenditori idealisti e uno senza scrupoli che non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di avere successo.
Due imprenditori molto simili al capitalismo sostenibile, incentrato sul creare un grande prodotto con impatto ridotto sul mercato e attento alle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, e l’altro il cui progetto, invece, è l’esatto opposto.
Due imprenditori che, con le fattezze del John Carroll Lynch di “Gran Torino” e del Nick Offerman di “Knight of cups”, altro non sono che i fratelli Mac e Dick McDonald, i quali, avviata un’attività di vendita di hamburger nella California del sud degli anni Cinquanta, vedono radicalmente cambiare la propria vita in seguito all’arrivo dell’anticonformista Ray Kroc, commesso viaggiatore per un’azienda il cui prodotto di punta è un frullatore usato dai drive-in.
Commesso viaggiatore cui concede anima e corpo un Michael Keaton da premio Oscar e che, affiancato dalla moglie Ethel alias Laura Dern e convinto che gli affari siano una guerra, non solo rimane impressionato dalla velocità del sistema inventato dai due – come una vera e propria coreografia – per la preparazione del cibo e dalla folla di clienti attirati presso il loro chiosco a San Bernardino, ma intuisce immediatamente il potenziale per un franchising, facendo di tutto al fine di sottrargli la società e creare un impero miliardario. Quell’impero dal nome che ha ormai da troppo tempo assunto il sapore di una America la cui potenza è in grado di sconfiggere tutto, venendo spesso furbescamente associato al concetto di famiglia e che ha finito per trasformarsi nella più nota catena di fast food, i quali non hanno potuto fare a meno di influenzare totalmente come, dove e con chi mangia la popolazione mondiale cresciuta tra il XX e il XXI secolo.

Del resto, sono la cultura dell’automobile, la crescita delle periferie e gli anni della diffusione del rock’n’roll, tra gli altri, i grandi temi statunitensi toccati da John Lee Hancock – oltretutto responsabile del buon “Saving Mr. Banks” che ricostruì la lavorazione del disneyano “Mary Poppins” – nel raccontare in fotogrammi una storia di determinazione per il raggiungimento del successo, dell’integrità della ricerca e perfino della sua perdita, che, in fin dei conti, rappresenta il sogno americano.
Un sogno americano di cui, però, si tende sempre a mostrare, nella realtà, soltanto il lato positivo ed accattivante, celando tutto il cinismo e l’avidità qui portati alla luce per rivelare il triste specchio di una società a stelle e strisce (ma anche dell’intero globo) molte volte dominata da affaristi pronti ad appropriarsi del talento altrui.
Perché sono proprio il talento e il genio non riconosciuti a poter essere annientati dalla perseveranza manifestata da individui del calibro di Kroc, la cui canzone preferita è, non a caso, “Pennies from heaven” e convinto sia del fatto che bisogna comprare ciò che non si può battere, sia che un contratto è fatto per essere infranto, proprio come un cuore.

Man mano che il veloce montaggio a cura di Robert Frazen scandisce a dovere una oltre ora e cinquanta di visione che, grazie anche agli splendidi duelli verbali regalati dagli attori (comprendenti Linda Cardellini, B.J. Novak e Patrick Wilson), si concretizza in uno dei migliori lungometraggi cinematografici prodotti nel 2016... sorretto da un eccezionale script a firma di Robert D. Siegel che non dimentica neppure la diatriba relativa al frappé in polvere e, oltre a riuscire nell’impresa di non mostrarsi banalmente critico nei confronti del disprezzabile protagonista, appare tanto affascinante nel ripercorrere l’evoluzione della vera storia di quello che è diventato un autentico fenomeno culturale, quanto amaro nel renderci consapevoli della maniera in cui essa si è sviluppata.


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