The Exchange
Oded è un normale assistente di Fisica, felicemente sposato con Tami, che si è appena laureata in architettura ed ultimamente è molto presa da una serie di progetti da presentare agli studi d’architettura. Sono una coppia normale e felice, ma un giorno a causa di una distrazione Oded ritorna a casa in un’ora diversa dal solito e improvvisamente davanti ai suoi occhi si apre un mondo nuovo, fatto di luci, suoni e colori diversi, da riti quotidiani compiuti dai vicini. Si rende conto di essere ingabbiato dentro una routine che non lo appaga e comincia a cercare di romperne gli schemi, prendendo scuse per restare a casa o sbagliando di proposito la fermata dell’autobus. La sua mente curiosa comincia ad indagare e a cercare sempre nuovi sistemi per evadere dal tran tran quotidiano. Durante uno di questi momenti in cui cerca la diversità stringe amicizia con un vicino, con cui comincia a sperimentare cose insolite come urlare contro appartamenti vuoti. Lentamente e inesorabilmente Oded cade in questo circolo vizioso di “ordinaria follia” nel tentativo di uscire dagli schemi si estranea sempre di più dalla realtà, guardando la vita degli altri, ma soprattutto la propria dall’esterno.
Tami dal canto suo non si accorge di nulla, troppo presa dal suo futuro, eppure inconsciamente avverte qualcosa, un abisso che si va sempre più ingigantendo fra loro, finché un giorno non racconta ad Oded un suo momento di ordinaria follia. Galvanizzato dal racconto Oded cerca di coinvolgere anche Tami nei suoi “giochi”, senza però permetterle di capire, senza dirle cosa lo spinge a fare ciò, per cui...
Il film, seconda fatica dello sceneggiatore e regista israeliano Eran Kolirin gioca chiaramente sul paradossale e sul grottesco, a tratti, anche se molto raramente, si ride per situazioni assurde che si vengono a creare. E’ una pellicola decisamente e nettamente fuori dagli schemi che tratta un tema noto, ma lo fa con poca chiarezza, poiché la macchina da presa sembra semplicemente limitarsi a registrare gli accadimenti, senza privilegiare nulla. Un resoconto asciutto e grottesco della follia umana, sì perché ciò che appare agli occhi del pubblico è solo che Oded a causa del forte stress sia impazzito o vittima di un forte esaurimento nervoso. I momenti cruciali del cambiamento e della scoperta, infatti, non vengono minimamente sottolineati o accentuati da parte del regista né l’interpretazione di Rotem Keinan. Sono 94 minuti di osservazione, senza commenti, con dialoghi ridotti al minimo e praticamente senza musica, perché a risaltare sono i rumori della vita quotidiana.
La frase:
"Hai mai gridato ad uno spazio vuoto?".
a cura di Federica Di Bartolo
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