The bourne ultimatum - Il ritorno dello sciacallo
Con “The Bourne identity”, diretto nel 2002 da Doug Liman (“Go-Una notte per dimenticare”) e tratto dal romanzo “Un nome senza volto” di Robert Ludlum, siamo venuti a conoscenza di Jason Bourne, ex agente segreto della CIA con le fattezze di Matt Damon (“Ocean’s eleven”) che, risvegliatosi privo di memoria a bordo di un peschereccio, si trovava a ricercare la propria identità, ostacolato proprio dalla stessa organizzazione di cui faceva parte.
Accusato di omicidio e deciso a portare avanti una personale vendetta nel sequel “The Bourne supremacy”, firmato due anni dopo da Paul Greengrass (“Bloody Sunday”), il novello 007 torna all’opera in questo terzo episodio realizzato dallo stesso regista, il quale ha nel frattempo riconfermato la sua abilità nell’installare i meccanismi della tensione su pellicola con l’eccezionale “United 93”, datato 2006 e candidato al premio Oscar per la regia ed il montaggio.
Non a caso, si comincia immediatamente con un serrato prologo ambientato a Mosca, dopo il quale apprendiamo che la Treadstone, operazione top secret che ha creato Jason Bourne, è stata ricostituita come programma Blackbriar del Dipartimento della Difesa, con una nuova generazione di killer addestrati a disposizione del governo, per i quali l’uomo rappresenta una difettosa minaccia da eliminare definitivamente.
E, oltre a Joan Allen (“Face/off-Due facce di un assassino”), nuovamente nei panni di Pamela Landy, detective per gli affari interni della CIA, nel cast ritroviamo anche Julia Stiles (“Save the last dance”) in quelli dell’agente Nicky Parsons, mentre il protagonista, che sembra privilegiare il ricorso a calci e pugni ancor prima che alle classiche pallottole, tenta in ogni modo di perseguire i suoi creatori per porre fine al tutto.
Quindi, tra inseguimenti mozzafiato in moto, a piedi ed in automobile, l’adrenalina non rientra davvero tra gli elementi assenti nella terza avventura di Jason Bourne, costruita su un coinvolgente script per mano di Tony Gilroy (già sceneggiatore dei primi due film), Scott Z. Burns (produttore di “Una scomoda verità”) e George Nolfi (“Ocean’s twelve”), dispensatore di circa 111 veloci minuti di visione dinanzi ai quali risulta impossibile annoiarsi, in corsa attraverso Parigi, Madrid, Londra, Tangeri e New York.
Merito soprattutto dell’abbondanza di inquadrature a mano fornite da una frenetica macchina da presa, le quali, sapientemente assemblate dal frammentato montaggio di Christopher Rouse (“The italian job”), forniscono il marchio di fabbrica di un vero e proprio autore britannico che stupisce non sia stato ancora convocato alla direzione di una delle imprese di James Bond.

La frase: "Mi ascolti, questo non è un articolo per un giornale, questa è realtà, siamo intesi".

Francesco Lomuscio

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