The Bay
Prima ancora che Kether Donohue compaia nei panni della intervistata Donna Thompson, tramite il cui racconto seguiamo l’oltre ora e venti di visione, abbiamo immagini con timecode in sovrimpressione seguite da una didascalia volta ad avvertirci che gli eventi narrati sono stati riportati dai media e che la storia non è mai stata resa pubblica.
Sebbene a produrlo sia, tra gli altri, l’Oren Peli artefice della popolare serie "Paranormal activity", è il Barry Levinson autore di "Good morning, Vietnam" (1987) e "Rain man - L’uomo della pioggia" (1988) a firmare la regia di un mockumentary ad alta tensione concepito con ventuno piattaforme digitali – tra iPhone e fotocamere Point and Shoot – e immerso nella pittoresca cittadina di mare di Claridge, dove due biologi ricercatori francesi scoprono un livello sconcertante di tossicità nell’acqua, principale fonte di ricchezza della piccola comunità.
Livello di tossicità che il sindaco, al fine di non generare panico, si rifiuta di comunicare ai cittadini; man mano che ci si chiede se ciò possa essere la conseguenza del riscaldamento globale, dell’effetto dei pesticidi, della grossa quantità di escrementi di pollo versata nella baia o, peggio ancora, di un complotto terroristico per avvelenare i cibi.
Ma anche man mano che pustole e vesciche fanno la loro apparizione sui corpi delle persone del posto, destinate spesso a trasformarsi in cadaveri a terra che, circondati il più delle volte da spargimenti di sangue, contribuiscono non poco a regalare la sensazione di raccapriccio allo spettatore.
Perché, pur rientrando, appunto, nella categoria dei falsi documentari tanto in voga all’interno della cinematografia di genere d’inizio terzo millennio, "The bay" – che vede tra i produttori esecutivi anche i Colin e Greg Strause registi di "Aliens vs predator 2" (2007) e "Skyline" (2010) – non solo lascia avvertire nell’atmosfera e in alcune immagini una certa influenza dai film dell’orrore degli anni Settanta, ma, complice probabilmente la progressiva discesa nella follia, non sembra nascondere più di tanto neppure un retrogusto vicinissimo al George A. Romero delle psicosi metropolitane.
Con un cast di attori sconosciuti per rafforzare, come di consueto, l’impressione di realismo, efficaci effetti speciali di trucco e un montaggio – per mano di Aaron Yanes – in grado di garantire il serrato ritmo di quello che, caratterizzato da disgustoso parassita nei paraggi, si può considerare un eco-vengeance in salsa POV nel complesso riuscito... senza dimenticare un indispensabile messaggio ambientalista.
La frase:
"Siamo nel mezzo di una epidemia batterica".
a cura di Francesco Lomuscio
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