Tedium
Poetico, delicato, riflessivo, introspettivo, drammatico tutto questo è "Khastegi", il film esordio del regista iraniano Bahman Motamedian, presentato come film a sorpresa al Festival di Venezia 2008.
La pellicola racconta la vita di sette transessuali, sei uomini e una donna, in un paese profondamente tradizionalista, e di come vivono la propria condizione, quali sentimenti, disagi e speranze sentano nel profondo.
Ciò che si scopre fin dai primi fotogrammi, è che, contrariamente a quanto si possa pensare, secondo il Corano non è un peccato cambiare il proprio corpo per seguire il proprio spirito. Secondo una fatwa dello stesso ayatollah Khomeini, è inoltre permesso cambiare il proprio sesso ai transessuali, dopo decisione del mullah e dopo che viene diagnosticata tale condizione da una commissione di medici e religiosi, e in alcuni casi parte delle spese viene anche coperta dalla mutua. Ma nonostante questo i transessuali, e gli omosessuali non hanno vita facile in un paese oscurantista e dalle mille contraddizioni, dove la diversità sessuale è vista come il male importato dall’Occidente, e quindi profondamente odiato.
Il film si sviluppa come in una terapia di gruppo, dove i partecipanti, uno ad uno, raccontano i propri disagi e i propri sogni, legati alla difficoltà di accettare se stessi e di farsi accettare. La scelta stilistica di montare le scene in questo modo rende ancora più facile immedesimarsi nei panni di ogni personaggio, che si presenta al pubblico esattamente come farebbe in una tale seduta, con l’aiuto del supporto visivo offerto dal grande schermo, convincendo immediatamente lo spettatore a confrontarsi con le esperienze altrui esattamente come ogni personaggio.
Ciò che ne vien fuori è che, al di la della condizione di transessuali, i protagonisti non sono altro che Individui, e alla fine la scelta sessuale compiuta non li rende diversi da chiunque altro, mettendo in evidenza la speranza di riuscire ad avere un buon equilibrio con se stessi, con le persone care, con la società, e di definire la propria posizione nel mondo.
Questo ovviamente non vuol dire che il regista impone allo spettatore di sottovalutare i problemi che queste Persone devono sopportare ogni giorno. A partire dall’approvazione della famiglia, che spesso ripudia i propri maschi che vogliono diventare donne, e accusa lo stato così permissivo di volerli privare dei propri diritti. Non è poi facile camminare per strada e patire lo scherno del resto della società che per ignoranza o paura vede queste persone come dei perversi o delle attrazioni da circo. C’è poi il grande sogno di volersi innamorare, di desiderare fortemente una persona al proprio fianco, e anche quando questa si trova, si ha sempre la paura che tutto finisca, o perché il partner non sopporta le dicerie della gente, o perché risente del disagio provato dalla persona amata.
L’unica speranza sarebbe l’intervento, ma i costi e la paura legata alle conseguenze mediche tipiche di ogni operazione chirurgica spaventano non poco. Ma poi, alla fine, per i transessuali che nati uomini si sentono d’essere donne, e riescono a coronare il proprio sogno di diventarlo anche da un punto di vista anatomico, vale veramente la pena cambiar sesso e diventare donne in una cultura così conservatrice e perdere tutte le libertà acquisite per nascita?

La frase: "Nella vita bisogna adeguarsi e io mi sono adeguata".

Monica Cabras

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