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Tahaan - A boy with a Grenade
Il cinema indiano è davvero un illustre sconosciuto in Italia. Si tratta di un cinema che ha una tradizione fortemente legata al territorio e con grande vocazione all’intrattenimento, tanto che ormai da moltissimo tempo si parla scherzosamente di Bollywood. Il pensiero corre naturalmente a musical più o meno improbabili conditi di danze ignote agli occhi occidentali e di abiti dai colori sgargianti e adorni di metalli preziosi. Tahan è un film molto differente, di stile narrativo molto più occidentale e senza dubbio più accattivante per i nostri gusti in quanto ad ambientazione, personaggi e vicenda narrata.
Tahan è un bambino di otto anni molto legato ad un asino di nome Birbal, che aveva ricevuto in dono dal padre di cui non si conosce la sorte. Quello che anima il piccolo Tahan è il desiderio di recuperare il proprio asinello in un mondo senza dubbio ostile per i bambini. La realtà presentata dal regista indiano in effetti è tutt’altro che idilliaca: viene presentata una regione in stato di guerra, in cui gruppi terroristi cercano di disgregare l’ordine costituito mentre la polizia e l’esercito procede a perquisizioni e arresti di certo per nulla rispettosi dei diritti umani. Per questo il sottotitolo è "il bambino con la granata", in riferimento alla scena madre del film in cui il piccolo Tahan dovrà compiere una scelta tra quello che ritiene giusto e quella che sembra essere la via più facile e veloce per raggiungere il proprio obiettivo: recuperare Birbal.
Si tratta di una pellicola molto accattivante in cui è impossibile non provare simpatia per il piccolo Tahan (tra l’altro, essendo un bambino, è anche naturalmente un grandissimo attore). Intorno a lui gravitano una serie di personaggi appena tratteggiati ma sufficientemente caratterizzati da sembrare reali. Fra tutti spicca il nuovo padrone dell’asino, chiamato dai più piccoli "zio" e interpretato da un attore che ha qualcosa di rassicurante e stralunato che ricorda il nostro tardo Alberto Sordi. E’ senza dubbio interessante la scelta stilistica di rappresentare una realtà di militarizzazione ancorata a fatti e situazioni reali, in cui gran parte dell’infanzia del mondo è costretta a vivere. Il lieto fine anche se forse poco reale, è senza dubbio liberatorio, e almeno da una sottile luce di speranza.
La frase: "mi avevi detto che se avessi vinto la gara mi avresti reso Birbal!".
Mauro Corso
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