Tachiguishi retsuden
"Tachiguishi retsuden" parte da un'idea folle: per raccontare la storia nera del Giappone del dopoguerra Mamoru Oshii inventa (o sono veramente esistiti?) le leggende dei maestri del Fast Food. Uomini e donne dedite all'arte dello scrocco. Le loro gesta, il loro modus operandi sono il riflesso della società giapponese, costretta ad omologarsi alla richieste dei vincitori, perdendo, alla fine, la propria identità.
Il tutto ha inizio in una notte del 1945. Tokyo, distrutta dai bombardamenti, stava tentando di riemergere dalle ceneri, i ristoratori tradizionali, ormai privati dei loro locali, vendevano cibo in strada. In un angolo del mercato nero stava un fatiscente baracchino di soba (tagliolini di grano saraceno). Poco prima della chiusura, una figura apparve alla soglia. Questi non era altri che Plenilunio Ginji, il leggendario Maestro del Fast Food, pronto a iniziare il suo inesorabile scrocco. Dopo di lui, nel 1960, nel bel mezzo delle manifestazioni contro il rinnovo del Trattato di Sicurezza Giappone-USA, la bellissima Crocchetta Volpina O-Gin, usa la sua bellezza per scroccare. Eterno vagabondo delle periferie durante gli anni del miracolo economico era, invece, Guaito Inumaru, il perdente. Venne poi Tasso Freddo Masa, la cui scandalosa fine rivelò all'opinione pubblica l'esistenza dei Maestri del Fast Food. In seguito, Manzo Ushigoro pose fine ad una catena di ristoranti di gyudon (manzo su riso), e Hamburger Tetsu fece tremare l'intera industria del fast food.

Per raccontare le loro imprese il regista non si affida ad una narrazione tradizionale, usa la tecnica del superlivemation, in cui attori e location vengono dapprima fotografati per poi essere "processati" digitalmente e animati con pupazzi di carta in stile teatrale.
Questa ricerca formale, però, esaurisce la sua carica innovativa nei primi dieci minuti di film, rendendo, a lungo andare la narrazione noiosa.
A rendere la visione ancora più faticosa ci pensa l'esposizione della storia, qui non sono presenti dialoghi, ma solo una verbosissima voce fuori campo che racconta tutti gli eventi.
Bisogna, anche, dire che la visione in originale non aiuta la "visione", dover leggere i sottotitoli, che si susseguono incalzanti, è stato veramente ostico.
Un'esperianza che sconsiglio.

La frase: "Vorrei cento hamburger!"

Elisa Giulidori

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