22 Marzo 2010 - Conferenza
"Happy Family"
Intervista al regista e al cast.
di Federico Raponi

Affollata conferenza stampa, a Roma, per la presentazione di "Happy family". Insieme al regista Gabriele Salvatores c'erano il co-sceneggiatore Alessandro Genovesi (autore dell'omonimo testo teatrale da cui il film è tratto), il produttore Maurizio Totti, il direttore della fotografia Italo Petriccione, gli attori Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Gianmaria Biancuzzi, Valeria Bilello, Corinna Agustoni, Carla Signoris, Alice Croci.


Com'è nata l'idea della trasposizione dallo spettacolo?
Gabriele Salvatores: La devo a Corinna, un pezzo del Teatro dell'Elfo, con cui ci conosciamo da 30 anni. Il teatro ora ha una magnifica nuova sede, e vado a vederne tutti gli spettacoli. Anche nella commedia lei interpretava la nonna, e mi ha parlato di Alessandro dicendomi: "sembri te a 30 anni". Ho segnalato il lavoro a Maurizio, lui l'ha visto e mi ha detto: "lo facciamo". Devo ringraziarlo per aver voluto produrre un lavoro che viene dal teatro, senza inizio e fine, con attori che parlano "in macchina".

Quali, le differenze tra i due lavori?
Alessandro Genovesi: All'inizio sono stati soprattutto i tagli, lo spettacolo durava poco più di 2 ore. Mentre Gabriele girava "Come dio comanda" ho scritto da solo. Poi sono arrivati lui e Maurizio, a portare i loro dubbi. Abbiamo spostato dei colpi di scena, e alcune scene sono state stravolte, tolte, create. Gabriele dava stimoli fumosi, un ottimo metodo per far lavorare. Nel film, il passaggio principale è la tripla finzione: la disposizione a credere dello spettatore, e un personaggio che sta scrivendo una storia. Lo sforzo è stato nel rendere tridimensionali e credibili i personaggi, affinchè rappresentassero tutti noi, che abbiamo varie paure. Ci sono riferimenti a Pirandello, Shakespeare, Calderon: parecchio è stato già inventato, io semmai posso trasformarlo.

E, per l'appunto, a proposito del monologo iniziale sulla paura?
Gabriele Salvatores: viene dallo spettacolo di Alessandro. La paura è sempre stata usata dal potere per impedire alla gente di vivere, ce la fanno venire.
Alessandro Genovesi: Molte volte viene denigrata, ma per me è una molla che mi fa fare le cose, la contrappongo alla noia. E' un grosso motore dell'umanità.

Dunque un parallelo con l'attualità politica?
Gabriele Salvatores: Viviamo in un periodo in cui l'"happy end" sembra non arrivare mai. Il cinema fa vivere desideri e fantasmi, e la "family" siamo tutti noi. Come sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti, la felicità è un diritto. A volte ce lo neghiamo da soli, ma per la maggiorparte dipende dagli altri. Comunque, confondere realtà e finzione è pericoloso, negli ultimi tempi sto preferendo di più la prima, ed è un bene.

Una frase del film, infatti, recita: "non si può prendere in giro la gente, si deve dire la verità e come va a finire"...
Gabriele Salvatores: E' il mio credo, nel cinema. Ma va bene anche nella politica. Il cinema è un mare che può contenere tutto, ma non può dire bugie. Oggi se ne dicono troppe, i telegiornali a volte parlano di realtà virtuali, e io sono semèpre più ossessionato dal vero/falso.

Nella scena davanti all'ospedale passano 4 infermieri in fila indiana che ricordano i Beatles sulla copertina del disco "Abbey Road"...
Gabriele Salvatores: E' casuale, ma è così: alcune immmagini rimangono nella memoria.

Nel finale, anche un omaggio a "I Soliti sospetti"...
Gabriele Salvatores: Sì, ovviamente. Ma non con lo stesso senso di un "giallo", bensì della creazione. Il film è composto da 3 capitoli: i personaggi, e poi il contatto tra di loro che li fa entrare in una confidenza necessaria, infine, a creare una "family".

Come mai la scelta di avere in colonna sonora un disco di Simon & Garfunkel?
Gabriele Salvatores: La loro musica ha accompagnato mie storielline d'amore, il disco serviva a far vedere che il protagonista lavora su quello che ha a disposizione. Quando li abbiamo contattati, ci hanno detto che era la loro seconda colonna sonora dopo "il Laureato".

L'abbinamento dei colori è molto studiato...
Gabriele Salvatores: In tutto il film ci sono dominanti di colore calcolate, volevo sottolineare la messa in scena di qualcosa di rappresentato, con una Milano ripresa dal basso, in cui la strada non si vede. Niente è realistico.
Italo Petriccione: C'è un discorso di unità cromatica, abbiamo scelto e mantenuto una direzione. Una volontà che dovrebbe essere più presente nel cinema italiano, che invece va dietro alla televisione e poi si perde.

Perchè il bianco e nero nelle immagini di Milano?
Gabriele Salvatores: : Tagliare il brano di Chopin, su cui sono inserite quelle immagini, era complicato. Ho pensato ai notturni della città, ai tasti del pianoforte, alle guglie del Duomo, e quindi è venuto fuori così, anche con i volti di persone reali. E' un cuore del film un po' diverso dal resto, che invece è costruito.

Un film che avrebbe funzionato anche come animazione in 3D. E in futuro?
Gabriele Salvatores: Se ci fosse stato il 3D a disposizione, si sarebbe potuto fare. Sarebbe stato divertente in tecnica mista. L'animazione mi è sempre piaciuta, ho amato "Up", che ha vinto l'Oscar: sembra un film di Ingmar Bergman. Siamo in un'epoca in cui tutto fa parte di tutto, ma gli attori restano fondamentali, veri e propri autori.

Fabio De Luigi rappresenta il suo "alter ego"?
Gabriele Salvatores: Sì.
Fabio De Luigi: Essendo il suo alter ego, non posso che rispondere sì.

Le è mai capitato di perdere il controllo di un attore/personaggio?
Gabriele Salvatores: Con Diego sempre, per fortuna.

Come vi siete avvicinati al progetto?
Diego Abantatuomo: Con Gabriele c'è un vecchio rapporto, come tra marito e moglie, in cui le cose vanno bene. Eravamo in breve vacanza al mare e, rispetto ad un altro suo progetto con protagonista unico, contro ogni mio interesse ho cercato di convincerlo a fare questo lavoro corale.
Alice Croci: : è il mio primo film, mi sono trovata molto bene, come in una grande famiglia. Ero affascinata dalla finzione nella finzione. Nell'estetica, il mio ruolo rappresentava uno stereotipo, ma aveva sentimenti e sfumature da interpretare. Mi sono divertita, è stata una bella esperienza.
Carla Signoris: finalmente un ruolo un po' diverso da ciò che ho fatto finora. Nonostante le apparenze, il mio personaggio ragiona come una moglie borghese. E' un film ricco di dettagli, il che è raro. E' stato un bel modo di lavorare insieme. Per Gabriele era una bella compagnia, la vedeva adatta ad una turnè teatrale.
Valeria Bilello: Gabriele si è accorto che qualcosa non andava in me, per cui mi ha scelto. Per me è stato un lavoro un po' complicato, in quanto nuovo.
Gabriele Salvatores: Tra l'altro lei è una "cinephile", dei film ne sa tantissimo.
Fabio De Luigi: Gabriele ama gli attori, è bello lavorare con lui. Io sono sempre titubante, ma in questo caso mi sono sbilanciato, dicendogli: "un altro giusto come me non lo trovi". Il mio personaggio è un osservatore che non vive, era difficile che facesse ridere, e questo è stato il mio sforzo.
Gabriele Salvatores: Per gli attori, ho preparato delle scatole con biografie e oggetti dei personaggi. Quella di Fabio era quasi vuota, quindi il suo è stato un grosso lavoro.
Fabio De Luigi: Sì, il mio personaggio vive attraverso quello che racconta.
Margherita Buy: Non avevo mai lavorato con Gabriele, è stato bellissimo.
Fabrizio Bentivoglio: Gabriele m'ha invitato a cena e mi ha detto: "voglio rimettere insieme la band", come nei Blues Brothers, "ci abbiamo messo anche troppo: 20 anni". Per cui c'era una familiarità che aleggiava sul set. Come dice Diego, è come essere musicisti che suonavano insieme, si sono persi di vista e quando si reincontrano non hanno bisogno di provare. Penso che il film inviti a mischiarsi, a trovare nel diverso un amico, un compagno di giochi.
Corinna Agustoni: Con Gabriele ho lavorato 15 anni a teatro. Ama gli attori, e anche se al cinema c'è meno spazio per le prove, con una frase o un momento lui ti aiuta, sul set sa creare un clima di lavoro. Per me lo sforzo è stato quello di scostarmi dal personaggio teatrale. L'ho interiorizzato pensandolo.
Gianmaria Biancuzzi: E' il mio primo film, lavorare con Gabriele è stato bello, un onore, uno spasso. Che il mio personaggio sia "particolare" è la battuta migliore, nel film, per definirlo.

Che impressioni avete avuto a lavorare insieme dopo vent'anni?
Diego Abantatuomo: Io sono invecchiato di più. La cosa più strana è che sembravano passate due ore e mezzo da "Marrakech express". Nonostante conduciamo vite diverse, in città diverse, ci sono assonanze naturali, affetti, confidenze, e poi tutta una squadra che lavora insieme.
Fabrizio Bentivoglio: Non siamo più maturi.
Diego Abantatuomo: Direttamente marci.
Fabrizio Bentivoglio: Forse più consapevoli.
Diego Abantatuomo: Con figli. Sul set l'aggiunta di una battuta è un bene, si prova insieme.
Fabrizio Bentivoglio: La difficoltà stava nel far sì che personaggi così finti fossero veri. Bisongnava trovare sfumature nel personaggio, un attore deve far capire quello che non dice.

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