29 Gennaio 2007 - Conferenza stampa
"Arthur e il popolo dei Minimei"
Intervista al regista.
di Andrea D'Addio


A margine della proiezione dell'anteprima di Arthur e il popolo dei minimei abbiamo incontrato il regista, produttore e sceneggiatore di questo ambizioso progetto: Luc Besson. Non è un caso se oltralpe lo chiamano lo Steven Spielberg francese. Il suo buttarsi in i più disparati progetti nelle sue molteplici vesti, senza perdere di vista le necessità del grande pubblico lo hanno reso un modello e purtroppo una rarità come tipologia di "artista" nel vecchio continente. Questo suo film non sarà il più riuscito, ma è senza dubbio coraggioso, e va in qualche modo premiato…

Quali sono state le difficoltà tecniche che ha incontrato nella realizzazione del film?
Luc Besson: Devo dire che sin dall'inizio le difficoltà che ho avuto sono state solo tecniche. In tutto sono state 700 le persone hanno lavorato al progetto, 350 solo per la parte di grafica e animazione. Tutte alla prima esperienza con un lungometraggio d'animazione. Il grosso problema era riuscire a riunire esteticamente la natura vera con quella tridimensionale creata al computer. Da qui sono nati tutti i problemi. Il villaggio dei Minimei che si vede nel film è stato ricostruito in scala con tutte le sue 300 case, ed è stato un lavoro enorme, che ha impiegato un tempo lunghissimo.

Quali le varie fasi di questo progetto?
Luc Besson: Abbiamo iniziato con lo storyboard, per il quale ci sono voluti circa 4000 disegni. Dopodichè si passa a girare il film con attori veri, in carne ed ossa. Ed è in questo momento che scelgo i personaggi, che si sentono le emozioni vere. Poi monto il tutto proprio come un film e passo il materiale ai ragazzi del 3D (hanno lavorato per 2 anni e mezzo).

Pochi giorni fa, in Italia è stato presentato un disegno di legge per tutelare il cinema nazionale. Spesso come modello di sovvenzionamento pubblico viene citata la Francia. Che opinione ha in merito alle politiche culturali del suo Paese?
Luc Besson: Il cinema francese ha il 45 per cento delle quote di mercato. É evidente perciò, che le cose in Francia vanno abbastanza bene. In Europa però, ancora non abbiamo capito quello che negli Stati Uniti sanno da ben 30 anni: il cinema è un'arma, un mezzo per vendere i propri prodotti, un vero e proprio investimento pubblicitario. Personalmente sono stato accusato di aver messo in moto una grossa macchina commerciale, ma considerando la grossa entità degli investimenti necessari alla realizzazione di un film, non mi pento di quello che ho fatto. Grazie all'aiuto dell' Atari e della Bnl per esempio, sono riuscito a far quadrare i conti. Certo, avrei preferito avere meno sponsor, ma in quel caso avrei avuto bisogno dei soldi dello Stato. I finanziamenti statali però, a me non sono mai arrivati: prima ero troppo poco conosciuto, ora lo sono troppo.

Perché ambientare il film nell' America negli anni 50?
Luc Besson: La campagna americana di quegli anni non aveva l'aspetto medievale che aveva invece la campagna francese, non c'erano le tracce evidenti del dopoguerra, era completamente integra e ancora abbastanza "selvaggia". Loro la guerra non l'avevano avuta nel loro territorio. Oggi nei nostri giardini non credo potrebbero sopravvivere i Minimei, troppo inquinamento, troppe macchine. Allora si lasciava ancora che i giardini e la natura crescessero senza bisogno di pesticidi. E poi mi piaceva l'ambiente ed i costumi di quegli anni: i vestiti a fiori, le lunghissime Cadillac, gli occhiali stravaganti che si allungano verso gli zigomi.

Questo suo primo film d'animazione è stato realizzato solo con i suoi fondi, e senza l'aiuto di società americane. E' stata una scelta ideologica?
Luc Besson: Non è un caso se ho una società che si chiama Europacorp. Mi sembra evidente perciò, come la penso. Non ho potuto neanche usufruire dei finanziamenti messi a disposizione dalla Francia, ma sono stato fortunato, perchè ho potuto reinvestire i soldi guadagnati con "Taxxi" 1, 2 e 3, e così ho potuto dare lavoro a settecento europei. Ragazzi che spesso sono costretti ad emigrare negli Stati Uniti per mettere in pratica la propria professionalità. La Pixar ha tra il 20 e il 30% di tecnici europei al proprio interno. Dobbiamo ricordarci che noi europei abbiamo un patrimonio culturale che gli Stati Uniti non hanno, lo stesso Walt Disney utilizzava storie europee per i propri film.

Però Walt Disney cambiava i finali delle proprie storie, come successo per la Sirenetta o Pinocchio…
Luc Besson: Ed io invece sono rimasto fedele al mio autore!(sorride) Non penso che questo sia un problema. Per esempio, Il libro della giungla mi ha affascinato così come mi è stato raccontato da Walt Disney. In un certo senso penso che non sia sbagliato raccontare ai bambini delle belle storie. Questo non toglie che i genitori possano perdere un po' di tempo a spiegare loro quali siano le vere storie.

Guardandosi indietro, che cosa ne pensa dei problemi avuti in Italia per la distribuzione di Le Grand Bleu?
Luc Besson: Mi fa un po' sorridere. Le Grand Bleu infatti è andato bene dappertutto, tranne che in Italia, dove non è potuto uscire. Maiorca non voleva partecipare al film, quindi avevamo sostituito a lui Mayol, che interpretava perciò un personaggio di fiction. L'anno dopo Maiorca ci fece causa, perdendo il primo processo, ma vincendo il secondo. Ci dissero che se volevo, avrei potuto fare uscire il film anche in Italia, ma solo con degli opportuni tagli. Io non ho voluto. Dopo la morte di Mayol evidentemente qualcosa è cambiato.

Pare che Arthur avrà i due seguiti che lei già ha scritto come libri. Cosa l'ha convinta a continuare questo progetto?
Luc Besson: Le cose stanno andando bene, perciò quest'estate dovremmo cominciare a lavorare con i nuovi episodi. Ho finito da poco di scrivere il quarto libro dedicato alle avventure di Arthur. Materiale ne avevamo già fin troppo, ma bisognava aspettare l'uscita del primo film I prossimi due film saranno girati contemporaneamente, perchè raccontano la stessa storia e saranno pronti nel 2009-2010. Freddie Highmore crescerà, ma così non ci saranno cambi tra il suo aspetto nel secondo episodio e quello nel terzo. Sono molto contento di viaggiare per i paesi europei, mi serve un sostegno. Dopotutto parliamo di 60 milioni di euro di investimento, soprattutto contro gli USA. Questo deve essere un segnale per gli europei: si può fare. Sono orgoglioso che oggi esistano 700 tecnici formati sui film d'animazione, che non sono costretti ad andare a lavorare negli Stati Uniti. Non so se lo sapevate, ma il 20 per cento di coloro che lavorano per esempio alla Pixar sono europei che non trovano lavoro a casa loro. Il regista Bibo, che fino a poco tempo fa lavorava alla Dreamworks, è tornato in Francia e questo mi fa infinitamente piacere.

Come è stato lavorare su un film, mentre i tecnici dell'Atari contemporaneamente lavoravano negli stessi laboratori il videogame?
Luc Besson: Personalmente a me non è cambiato nulla. C'erano due livelli di lavorazione, uno per gli effetti del film in 2d e un altro per quelli del gioco in 3d. Questi due livelli riuscivano inoltre a comunicarsi i dati e le informazioni sulla realizzazione degli effetti grafici contemporaneamente. I tecnici dell'Atari li incontravo solo durante la pause pranzo.

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