18 Ottobre 2009 - Intervista
"Alza la testa"
Intervista al regista e al cast.
di Francesco Lomuscio

In occasione della quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, abbiamo incontrato il regista Alessandro Angelini e i protagonisti del suo nuovo film: "Alza la testa".

Sia questo film che il tuo precedente, "L'aria salata", partono da una storia di padre e figlio. Come mai t'interessa questo tema?
Alessandro Angelini: M'interessa perché è un tema universale, poi sono anche padre, quindi appartiene un po' alla mia quotidianità. Rispetto a "L'aria salata" c'è uno sguardo differente, perché lì era un figlio che guardava suo padre, qua è lo sguardo di un padre su suo figlio, ma un padre particolare, una padre che fa fatica a comprendere la sua funzione. Un padre ma anche madre, che, vivendo in un ambiente virile come quello del cantiere nautico, si vergogna del suo lato più femminile, materno. Poi mi piace pensare che questo sia un film riguardante il percorso di un uomo, quasi una sorta di caduta e di impossibile redenzione.

Mentre preparavate il film avete ripensato a qualche film riguardante la boxe?
Alessandro Angelini: Sicuramente la boxe è uno sport che mi piace e ho visto tutti i film più belli che la riguardano, da "Million dollar baby" a "Toro scatenato", a "Fat city", ma cercare di rifare quei film sarebbe stato un suicidio, perché questo non è un film sulla boxe. Qui c'è uno sguardo sulla boxe, che è un po' una metafora della vita, la metafora del rapporto tra questo padre e questo figlio: un uomo che allena suo figlio per cercare di risparmiargli i colpi bassi della vita che invece hanno steso lui. Quindi, non c'è stata una vera e propria ispirazione rispetto a quei film, perché pensavo che il mio dovesse avere un respiro diverso.
Sergio Castellitto: Io mi sono interessato in parte di boxe da ragazzino. Cassius Clay è stato una leggenda per molte generazioni, non solo per il pugilato ma perché trovò il coraggio di dire di no all'esercito e di diventare musulmano in un'epoca in cui ciò era impensabile. Nella boxe chi perde viene spesso umiliato, lo contano quando cade per terra e lui non ce la fa a rialzarsi. E' uno sport violentissimo, non nel senso dei cazzotti ma di quella caduta lì.

Alessandro ha anche realizzato un documentario sul mondo della boxe…
Alessandro Angelini: Non posso dire di essere un pugile o un esperto di pugilato, però nel 2001 ho realizzato questo documentario sulla boxe a Cuba e, prima di partire, sono stato un po' in una palestra. E' un ambiente che mi affascina, perché ci sono persone che ci provano continuamente, anche se la boxe ormai non cambia più la vita a nessuno. In qualche maniera quello è un modo per dire "Io esisto", e questo mi piace molto.

Gabriele come lo hai trovato?
Alessandro Angelini: :Gabriele è stato trovato in un posto a Ciampino che si chiama "Stazione birra"…
Gabriele Campanelli: Alessandro mi ha visto lì, dove mi stavo scaldando per iniziare il mio primo incontro di kickboxing. Una signora mi si è avvicinata per chiedermi se volevo fare un provino e, inizialmente, avevo rifiutato perché balbettavo, poi ho accettato e, per imparare la tecnica del pugilato, sono andato in una palestra dove va anche Alessandro.

E ti sei divertito?
Gabriele Campanelli: Sì, ero molto curioso, mi piaceva fare pugilato e sono stato contento di prendere parte a un film che lo riguardasse.

Sergio, raccontaci un po' questo padre e questo mondo…
Sergio Castellitto: Sì, un mondo che scopriamo attraverso gli occhi del protagonista, il quale pensava di essere chiuso in una periferia urbana dove credeva di essere il re padrone allenatore di questo prodigioso ragazzino, che è la cosa più bella e importante della sua vita. Poi la vita gli dà un gran cazzotto: la morte di un figlio, di fronte alla quale reagisce nel modo più naturale non accettandola. E, sempre la vita, gli lancia un'altra sfida facendogli concedere l'espianto degli organi. In qualche misura, questo lo salverà, perché la concessione dell'espianto degli organi rappresenta il primo passo verso la separazione dal dolore. Infine, fa un altro gesto scorretto, andando a cercare il cuore del figlio.

Come è stato farsi dirigere da un poco più che trentenne?
Sergio Castellitto: Alessandro ha una grande capacità di portare avanti la propria intenzione narrativa e quant'altro e, allo stesso tempo, possiede una delle migliori qualità di un regista, ovvero quella di saper approfittare del talento degli altri. Siccome non ci manca (ride), noi glielo abbiamo messo a disposizione e lui è stato bravo ad usarlo. Farsi dirigere è una cosa che io non faccio mai, non mi faccio dirigere, io faccio e il regista sceglie.

Come è stata scelta Anita Kravos?
Alessandro Angelini: E' stata la più brava di tutti, ha vinto contro una lunga schiera di maschietti, perché originariamente pensavo che il suo fosse un ruolo per un uomo, mentre è arrivata lei e ha vinto.
Anita Kravos: Con Alessandro abbiamo lavorato passo dopo passo sull'aspetto fisico, dal trucco ai capelli, fino ai costumi. Poi ho fatto un certo lavoro sulla voce, cercando di abbassarla. Diciamo che il processo è stato molto lungo, è durato un paio di mesi.

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