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Signs
"Signs" (perché non tradurlo nel molto più pronunciabile "Segni" ?) è un film deludente. Colpa del vociante battage pubblicitario dal quale è stato preceduto che, abilmente, puntava molto sul fenomeno dei "crope circle" sui quali l'opera sembrava essere fondata e dei quali si pensava che ne venissero svelati almeno in parte i segreti. Chi si aspetta di saperne qualcosa di più sul fenomeno dei campi di grano ricamati all'uncinetto da una delicata mano (umana, aliena, celeste) rimarrà deluso. Dei "crope circle" se ne accenna solo all'inizio del film, utilizzati come specchietto per le allodole e quale espediente narrativo per dare la stura ad una storia infarcita di misticismo e facile spiritualismo, di tediose conversazioni su fede ed agnosticismo e di sterili considerazioni sul caso e la predestinazione. A metà tra "Incontri ravvicinati del terzo tipo" e "Gli uccelli", ma più depressivo del primo e meno allucinatorio del secondo, "Signs" anzi "Segni", perdonatemi lo sbocco di autarchia, racconta la storia del Pastore d'anime Graham Hess (un triste triste Mel Gibson) padre di due figli, che, a seguito della morte della moglie in un incidente d'auto, sveste l'abito talare e si isola nella sua casa di campagna assieme al fratello Merrill (Joaquin Phoenix, così imperiosamente cattivo nella parte di Commodo ne "Il gladiatore", così miserevolmente buono nel ruolo che ci occupa). Strani episodi accadono attorno alla sua casa. Si odon frusciar di pannocchie, latrati di cani nella notte, walkie talkie che trasmettono un vociare confuso: segni per l'appunto, pardon "signs". Finché una mattina il suo campo è marchiato dalla geometrica alchimia di un disegno che solo dall'alto è possibile apprezzare: un "crope circle", maestoso e insondabile. A questo punto ci si aspetta il colpo d'ala di Shyamalan. Quella inaspettata capacità di sorprenderti che il mondo cinematografico tanto aveva apprezzato ne "Il sesto senso". Il regista di Filadelfia invece, sorprende sì, ma al contrario. Indubbiamente Shyamalan, il quale interpreta anche un ruolo piccolo ma importante, è abile nel creare una certa tensione che mantiene alta l'attenzione del pubblico. Ma, già come nel precedente "The unbreakable", anche in questa ultima opera quanto di buono viene costruito nelle premesse, viene rovinato dal succedersi nella storia di eventi scontati e prevedibili anche dai meno accorti. In un contesto da "Guerra dei mondi" (il film viene anche citato dai protagonisti mentre assistono in televisione al tragico evolversi degli eventi) la sventurata, ma unita, famiglia americana si barrica in casa e, indovinate, è tutto un batter di chiodi su assi fissate su porte e finestre (ma dove le troveranno tutte quelle tavole??).
Il finale naturalmente non ve lo raccontiamo. Ma vi diciamo soltanto che in Italia, dove è il calcio lo sport nazionale, gli alieni avrebbero avuto certamente vita più facile... Vedere per credere.
Das
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