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Road to Nowhere
La strada che non porta da nessuna parte. Questa la traduzione di "Road to Nowhere", il film del regista Monte Hellman ("Strada a doppia corsia", "La sparatoria"), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Edizione 2010.
La strada che non porta da nessuna parte è anche quella che percorre la trama, in cui protagonista è una troupe cinematografica che gira un film su un fatto di cronaca realmente accaduto e finisce per rimanerne intrappolata. Un ricco uomo d’affari, invischiato in losche vicende, e la sua donna uccidono un poliziotto e si tolgono la vita.
Un regista, decide di realizzarne un film e nella ricerca dell’attrice protagonista trova Laurel, (Shannyn Sossamon, "Il destino di un cavaliere"), di cui si innamora, ma che in qualche modo sembra nascondere qualcosa, e che questo riguardi proprio il personaggio che sta interpretando.
In una sorta di gioco di scatole cinesi, il filo narrativo del film presenta flashback, racconti e immagini di presente misto a passato, di fiction e vita reale, in un montaggio che sembra quasi un collage, o un puzzle i cui pezzi sono stati appena riversati dalla scatola. È questo dovrebbe essere intrigante e rendere il noir più avvincente e coinvolgente, creare una suspence che spinge a chiedersi quale sia la realtà e quale la finzione con il risultato di generare l’ansia e l’agitazione che danno i thriller, i noir, i gialli, ma finisce col confondere lo spettatore che, troppo impegnato a riconoscere e unire i pezzi, si perde nell’intrico della trama e non riesce a provare le sensazioni cui sarebbe destinato.
Anche il soffermarsi troppo nei primi piani non aiuta, anzi, sembra quasi rimarcare il fatto di non essere riusciti ad identificare in pieno quel personaggio. Ed in certi momenti, il film dentro al film, il vedere telecamere operatori ovunque, anche in scene che dovrebbero aiutare a capire dove la sceneggiatura vuole arrivare, è un elemento che contribuisce a depistare lo spettatore/detective, tutto intento a svelare l’arcano e scoprire quale sia l’obiettivo della pellicola che sta vedendo.
Il tutto potrebbe anche sembrare geniale, coinvolgere lo spettatore a tal punto da renderlo protagonista del film, è sicuramente un’ottima idea. Ma ad un certo punto il gioco va svelato, e se lo spettatore non riesce ad arrivarci, dovrebbe essere il film ad aiutarlo e auto svelarsi.
Ma questo in "Road to Nowhere" non capita, ed è un vero peccato visto l’impegno.
L’interpretazione degli attori è abbastanza convincente da far credere che loro almeno sappiano bene chi sono, finzione o realtà che sia, anche se la Sossamon insiste troppo sullo sguardo languido e sconsolato. Ma questo non aiuta, che siano quello che dicono di essere o che siano altro, chi guarda non riesce a capire quale sia la linea che ne definisce l’identità.
L’unica consolazione è che dopo aver passato ben 121 minuti a capire che cosa sta succedendo, a fare supposizioni e illazioni su quale sia la trama e quale il contorno, non ci si accorge nemmeno che due ore sono filate via come niente. Sarà questa la destinazione della strada intrapresa dal regista?
La frase:
- "Quanti film hai visto?"
- "Non lo so, non dovresti mai chiederlo ad un regista, non ci piace dover ammettere quanto tempo passiamo ossessionati dai sogni degli altri".
Monica Cabras
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