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RideLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Lomuscio24 agosto 2018Voto: 5.5
La scommessa consiste nel mettere in piedi un thriller d’azione a tematica sportiva fondendo diversi linguaggi narrativi.
Con inclusi tra i produttori e gli sceneggiatori i Fabio Resinaro e Fabio Guaglione che, meglio conosciuti come Fabio e Fabio, hanno fatto tanto parlare di sé grazie al giustamente acclamato “Mine”, di cui firmarono la regia, il primo lungometraggio diretto dallo specialista in videoclip Jacopo Rondinelli pone semplicemente in scena due riders acrobatici dalle fattezze di Ludovic Hughes e Lorenzo Richelmy, sempre propensi a filmarsi quando compiono le loro performance di sport estremi. Riders che accettano senza esitazione l’invito a prendere parte ad una gara di downhill con in palio duecentocinquantamila dollari; per poi scoprire, purtroppo, di doversi spingere oltre i limiti delle loro possibilità fisiche e psicologiche, trovandosi costretti ad affrontare una corsa estrema per la sopravvivenza. Corsa durante il cui svolgimento incontrano anche, in preda al panico, una giovane incarnata da Simone Labarga; mentre ad accompagnarli sono le spiegazioni delle regole del gioco dispensate da un individuo dal volto di Matt Rippy, il quale altro non è che il portavoce della misteriosa organizzazione del contest. E, se, ambientati in interni caratterizzati da tutt’altro che piccoli schermi su cui scorrono immagini, questi ultimi momenti sembrano confermare una certa influenza scenografica proveniente da determinati “futurismi visivi” della fanta-trilogia “Matrix”, è impossibile non ricollegare alla saga “Saw” e ai suoi derivati la tipologia di plot a base di più o meno sadiche prove da superare. La particolarità dell’operazione, però, consiste nell’essere stata concepita utilizzando camere GoPro, in maniera che allo spettatore venga trasmessa l’adrenalina dello sport estremo; man mano che il tutto finisce per rappresentare un’ulteriore evoluzione della tecnica del POV (Point Of View), abusatissima nell’elaborazione di found footage ormai dai tempi dell’enorme successo riscosso ad inizio XXI secolo dall’horror “The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair”. Ma, se da un lato, complice anche la efficace colonna sonora a firma di Andrea Bonini e Massimiliano Margaglio, ciò non può fare a meno di testimoniare quello che per l’esordiente Rondinelli si è rivelato, di sicuro, un notevole esercizio tecnico, dall’altro la sensazione generale è che, con ogni probabilità, l’insieme lasci soddisfatte soltanto (forse) le nuove generazioni meno mature, maggiormente interessate alla frenesia quotidiana da smartphone e social network che alla magia della Settima arte. Perché, più vicina ad un videogioco cui assistere noiosamente senza prendervi parte (o a un lungo spot pubblicitario, se preferite) che ad un film vero e proprio, oltre un’ora e quaranta costituita in maniera quasi esclusiva da soggettive e pseudo-soggettive di biciclette in corsa in mezzo ai boschi può soltanto spingere lo spettatore comune a fornirsi di medicinali contro il mal di testa per arrivare ai titoli di coda... dopo i quali si rende anche conto del fatto che, pur manifestando un look internazionale che ne garantisce l’esportabilità, “Ride” non lascia affatto emergere l’italianità indispensabile a consentirgli di rientrare tra i titoli che stanno provvedendo a rilanciare nel terzo millennio il cinema di genere tricolore, da “Lo chiamavano Jeeg robot” di Gabriele Mainetti a “The end? L’inferno fuori” di Daniele Misischia. La frase dal film:
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