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Ebbene si, finalmente il primo film altamente punitivo del festival è arrivato. Per noi infaticabili si tratta solo di cercare di sopravvivere alla prima di queste nefaste pellicole, poi si subisce una sorta di vaccino anestetico che ci permette di arrivare più o meno felicemente alla fine del Festival.
Storia all'insegna della difficoltà esistenziale per Zhenja (Dana Agisheva) e Sergej (Alexandr Plaxin). Lei prigioniera di una vita accanto alla madre che ha scelto la sicurezza piuttosto che l'amore, con un compagno ricco vicino.
Lui malato cronico, insicuro e complessato a causa del trauma subito da piccolo in cui hanno perso la vita la madre e la sorella.
Due anime disperate nell'est europeo senza speranza e senza futuro.
Questi due personaggi si conoscono casualmente telefonicamente ed intraprendono una relazione telefonica (surrogato dell'occidentale chat via internet) che potrebbe cambiare il loro destino.
Tutto qui direte voi, esattamente ciò che hanno pensato gli spettatori in sala.
I film russi soffrono sempre della stessa malattia: lentezza cronica e depressione irreversibile. Svetlana Proskurina non riesce a liberarsi di questo fardello e si presenta con una pellicola che ci lascia carichi di dubbi. Se sull'opportunità di girare una "cosa" del genere non si può certo sindacare - scelte artistiche, legami sociali, ecc. - rimane da chiarire la necessità di includere un prodotto simile in concorso. Esteticamente dimenticabile, emozionalmente arido, la sua unica utilità sembra essere quella di valorizzare il film seguente.
Valerio Salvi
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