Prendimi l'anima
Dopo tre anni di silenzio Roberto Faenza torna al cinema con la storia di Sabine Spielrein, diciannovenne ebrea di origini russe, che nell'agosto del 1904 venne ricoverata nell'ospedale Burgholzli di Zurigo e affidata alle cure psichiatriche di Carl Gustav Jung. In preda ad una violenta crisi di isteria la ragazza si trasformò immediatamente in un caso clinico, il primo trattato psico-analiticamente - ovvero secondo i dettami di Sigmund Freud - di cui il giovane analista si considerava discepolo. Sabine però non fu solamente un successo terapeutico di Jung, ne fu anche l'amante, protagonista di un dramma d'amore e di psicoanalisi che si rivelò solamente nel 1977, con il ritrovamento del diario di Sabine e del carteggio tra i protagonisti di un inatteso triangolo amoroso. Nelle lettere che i due analisti si scambiarono e tra le pagine del diario si disvelarono infatti la passione della giovane donna per il proprio medico e il timore di uno scandalo che il grande maestro suggerì di soffocare ad ogni costo.

Nel suo film il regista italiano rende sensuale ed erotica la relazione tra Sabine e Jung, sebbene non sia veramente chiarito nelle parole scritte, e sconvolgente e doloroso il distacco dell'uno dall'altra, lasciando quest'ultima alle prese un'anima indebolita da una infermità psicologica ancora presente in parte. Faenza traduce in immagini i lunghi anni di ricerche che lo hanno portato anche in Russia, dove la Spilrein tornò dopo aver completato i suoi studi di medicina ed essersi specializzata in Psico-analisi e Psicologia. In realtà la personalità di quest'ultima è stata a lungo offuscata dall'oblio degli anni della guerra fredda e dalla relazione sentimentale che era invece da ritenersi solamente un episodio della sua vita. Restano infatti in una vita relativamente breve (morì a 57 anni uccisa dai nazisti, durante l'occupazione di Rostov nel 1942) l'importante esperienza dell'Asilo Bianco e la pubblicazione di alcuni saggi specializzati con i quali la psicoanalista contribuì in modo rilevante alle teorie dello stesso Freud.

Un sentito omaggio ad un personaggio che la scienza della psicoanalisi ha completamente e forse volutamente dimenticato, e magistralmente interpretato dalla giovane Emilia Fox.

Valeria Chiari

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