FilmUP - Recensione: Prendere moglie

Prendere moglie
Vivian (Ronit Ekabetz) è stanca della sua vita, o meglio del marito. Dopo diciotto anni di matrimonio e quattro figli ne ha abbastanza dell'indifferenza di Eliyahoo. Mai un regalo, mai un fiore, mai una cena o un bacio... mai nulla.
Certo non si può affermare che Eliyahoo sia dissoluto o si conceda lui stesso qualcosa di quello che nega alla moglie, ma semplicemente vive la sua vita come lavoro e sinagoga, anteponendo un miope bigottismo alla felicità di Vivian o dei suoi figli.
La tensione in casa, aumentata anche dalla presenza della suocera, si riversa sui figli della coppia, soprattutto i maggiori.
Amici e parenti tentano di risolvere la questione, ma tutti sembrano privilegiare un'unica soluzione: che Vivian accetti il suo ruolo di "vittima" e smetta di fare i "capricci" per il bene della famiglia: "Domani ti alzi, compri un bel vestito e dimentichi tutto!".

La società tratteggiata dai due registi, Ronit e Shlomi Ekabetz, è sconcertante per il suo maschilismo imperante e soprattutto per la tacita condanna che da alla voglia di vivere di Vivian.
Senza alcuna possibilità di sbocchi e con un mondo di tradizioni contro, l'insicurezza inizia a minare anche la figura di una donna forte come quella della protagonista, che non riesce a prendere la strada dell'uscita nemmeno quando gli si palesa davanti.

La sensazione finale è quasi quella di un Ricordati di me in versione israeliana; la tecnica non sarà quella di Muccino, ma la carica emotiva è decisamente più forte, come la sensazione che non si tratti di fiction ma di un'esperienza reale, quasi autobiografica.
Comunque la riuscita finale del film è legata all'incredibile bravura della protagonista, in grado di sostenere una scena come quella d'apertura in modo perfetto.

La frase: "Una donna sa quando chiudere gli occhi e quando tenerli aperti."

Valerio Salvi

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