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Predestination











C'è una bomba pronta a esplodere in un determinato luogo e in un determinato momento.
E c'è un agente temporale che, per quanto si sforzi andando avanti e indietro nel tempo, non riesce ad evitarne la detonazione, mettendo a repentaglio la sua stessa vita.
Quando però il continuo spostarsi lungo l'asse temporale inizia a logorarne la psiche, l'uomo capisce di avere a disposizione ancora pochi tentativi per evitare la strage che costerà la vita a così tante persone.
In mezzo a tutto questo, poi, un barista che, negli anni ’70, ascolta la bizzarra storia di un misterioso avventore e un'orfana cresciuta lottando contro le avversità per un intreccio dagli sviluppi imprevedibili e paradossali.
Mica facile parlare della trama di Predestination senza correre il rischio di svelare particolari fondamentali per la corretta fruizione del film, tutt'altro.
Tratto dal racconto "Tutti voi zombie", scritto nel 1959 dal maestro della fantascienza Robert A. Heinlein, il terzo film dei fratelli Spierig (Daybreakers) è, infatti, un criptico rompicapo che contiene, al suo interno, materiale buono per almeno altri cinque film di cui un thriller, un poliziesco e un film d'amore ed è importante che lo spettatore vi si accosti con la mente e gli occhi scevri da eventuali eccessi d'informazioni.
Perché sapendo troppo rischierebbe di autoescludersi dal ruolo attribuitogli dagli autori che, attraverso un abilissimo meccanismo a incastri infiniti, riescono del delicato compito di mettere chi guarda sullo stesso identico piano esperienziale dei personaggi del film.
Con la sola bontà di uno script ricchissimo di twist narrativi ma anche matematico nel non lasciarne neanche uno inspiegato, Predestination finisce con l'essere uno dei migliori film a tema viaggi nel tempo dai tempi di Donnie Darko, pur essendo un'opera tutto sommato povera in termini di budget e, soprattutto, di effetti speciali.
Costruito come un noir quasi interamente girato in interni, il film cala, infatti, la maggior parte dei suoi molti assi su un piano puramente intellettuale, senza perdersi in inutili fuochi d'artificio che poco o nulla aggiungerebbero a un quadro generale di per sé lucidissimo.
In questo modo gli Spierig navigano in direzione esattamente contraria al trend cinematografico dominante, negli ultimi anni, oltreoceano che vede intere generazioni di autori limitarsi a giocare per lo più con innocue rimasticature di vecchi film attraverso il troppo comodo escamotage del reboot.
In fondo basta poco, giusto tre attori (Ethan Hawke, in particolare, offre qui una delle sue migliori interpretazioni di sempre), una valigetta nera utilizzata come macchina del tempo e una serie di acute riflessioni sull'assoluta ineluttabilità del destino, sulla tanto discussa identità di genere e sul concetto - basilare ai fini della comprensione dell'opera - di predestinazione.
Sono molteplici i riferimenti ad altri film contenuti in Predestination, ma volendo individuare un solo referente stretto non si può non pensare al Christopher Nolan di Memento per la struttura reiterativa e circolare della storia e ad Inception per il cotè cerebrale che fa da sfondo al tutto.
Punti di partenza similari si biforcano però nei risultati.
Laddove, infatti, Nolan percorre da sempre sentieri più eloquentemente autoriali con il conseguente rischio di ledere la coerenza narrativa di alcuni passaggi delle sue opere - era questo, ad esempio, un difetto del comunque magnifico e monumentale Interstellar - i fratelli Spierig hanno un'idea di cinema molto più artigianale, attraverso la quale sembrano imporsi di non deragliare mai dai binari di un fiero B-Movie che antepone alle velleità la precisione chirurgica della scrittura, fino a un finale realmente shockante, di quelli che portano a riconsiderare tutto ciò che si è visto fino ad allora in una chiave diversa e, in questo caso, agghiacciante.
Stupisce inoltre che alcuni dei migliori film della stagione (Babadook, Wolf Creek 2, senza contare ovviamente lo straordinario Mad Max: Fury Road) provengano tutti dall'Australia, quasi a suggerire come il trovarsi geograficamente alla periferia dell'impero, possa spingere chi scrive per il cinema oltre i limiti angusti del già visto e, aspetto forse ancora più importante, del già detto.

La frase:
"Il tempo trova sempre il modo di raggiungerci".

a cura di Fabio Giusti

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