Passo a due
Dopo il mega-flop di Troppo belli di Ugo Fabrizio Giordani, Maurizio Costanzo ed i produttori Marco Poccioni e Marco Valsania non si arrendono e tornano all'attacco per portare sul grande schermo un altro frequentatore dei salotti televisivi di Maria De Filippi: il ballerino Kledi Kadiu. Quindi, in Passo a due, sulla falsariga di successi a stelle e strisce ambientati nel mondo del ballo, come Flashdance (1983) ed il più recente Save the last dance (2001), viene raccontata bene o male la sua ascesa al successo, attraverso la storia di Beni, studente dell'Accademia di danza di Tirana, il quale, in Italia da oltre un anno, viene truffato, insieme ad altri quattro ballerini, da una donna che, dopo avergli promesso di farli ballare nei più importanti teatri europei, li porta in una cantina dove, quasi sequestrati, vengono lasciati liberi di uscire esclusivamente per esibirsi in squallidi spettacoli di provincia. Da questo momento in poi, come ogni pellicola che si rispetti incentrata sul ragazzo combattivo alla rincorsa disperata del successo, assistiamo, dopo che Beni è riuscito a fuggire dallo scantinato, a tutte le classiche vicende che vedono coinvolti personaggi di questo tipo, dalle diverse audizioni all'innamoramento per una bella (Laura Chiatti) già fidanzata, all'incontro con una donna tanto affascinante quanto potente (Monica Vallerini) che gli promette lavoro, carriera e l'agognato permesso di soggiorno, il quale gli sarà utile per poter partecipare agli spettacoli televisivi.
Inutile stare a precisare che ci troviamo di fronte all'ennesimo fotoromanzone per immagini in movimento, destinato al pubblico delle teen-agers in piena fermentazione ormonale, fortemente soggette a schiavitù mediatica, e che, quindi, buona parte delle inquadrature fungano esclusivamente da pretesto per mostrare il corpo del protagonista impegnato nell'allenamento (e perfino il suo sedere nudo dopo un rapporto sessuale). Ma la cosa che più lascia perplessi è che al timone di regia di questo sfrontato inno al narcisismo tricolore d'inizio millennio troviamo il non disprezzabile Andrea Barzini, il quale, dopo l'esordio cinematografico rappresentato da Desiderando Giulia (1986), con una Serena Grandi nel pieno del successo, è stato capace di realizzare buoni prodotti come Italia-Germania 4-3 (1990) e, soprattutto, Volevamo essere gli U2 (1992). Infatti sembra mettercela tutta, tra moderno linguaggio visivo da MTV (non male la sequenza finale sulle note di Total eclipse of the earth di Bonnie Tyler) ed un sottotesto sociale riguardante l'immigrazione, per dare un tocco di classe in più a questo elaborato di facilissimo consumo, ma a non funzionare è proprio la sceneggiatura, che purtroppo porta la sua firma, esclusivamente e noiosamente costruita su dialoghi all'insegna del "Sei bravo", "E' troppo carino", "Non si può fare a meno di amare ed essere riamati", "E' un figo".
Terminata la visione, viene perfino voglia di rivalutare il succitato, inguardabile lungometraggio interpretato da Daniele Interrante e Costantino Vitagliano, però una cosa vera la dice: "Questo è il paese delle marchette, ringrazia a Dio se ne fai una!"
La frase: "Ho incontrato la donna sbagliata e ballo delle cose che fanno cagare".
Francesco Lomuscio
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