Palo Alto
Un altro nome si aggiunge alla già numerosa squadra di parenti messa in campo da Francis Ford Coppola: è Gia, che si unisce ai cugini Roman e Sofia, a Nicolas Cage e a Jason Schwartzman. Il peso del cognome è grande e se consideriamo che "Palo Alto" è la sua opera prima, la neo-regista lo sopporta con onore, dimostrando di riuscire a dirigere il film con uno stile che, se da una parte non è originale, dall’altra almeno non tende ad imitare o ricalcare quello dei suoi familiari.
Per il suo esordio dietro la macchina da presa, Gia Coppola sceglie di adattare alcuni racconti tratti da un libro di James Franco (sì, è anche scrittore), il quale compare nel film anche come attore e produttore e si conferma una presenza ormai costante nei cinema con le sue tredici pellicole realizzate nell’arco di un anno.
Qui veste i panni di Mr. B, allenatore della squadra di calcio femminile del liceo frequentato dai protagonisti. Mr. B propone ad April, una delle giocatrici, di lavorare i pomeriggi a casa sua come baby-sitter, e quando fra loro nasce una relazione, ecco emergere le problematiche tipiche dei rapporti tra due persone lontane per età.
April è timida ed un po’ ai margini della vita sociale (inoltre, viene presa in giro perché vergine) e, se da un lato guarda con distacco e forse con disprezzo i comportamenti delle coetanee, dall’altro vorrebbe che questi le appartenessero. Di lei è innamorato Anthony, un ragazzo che si è perso nelle trappole adolescenziali ma che, dopo essere stato condannato a lavori socialmente utili, inizia un percorso che lo porterà a interrogarsi su quali siano le sue priorità, nonostante il suo migliore amico Fred tenti continuamente di ostacolare questo suo percorso.
Come facilmente intuibile, le varie storie ideate da James Franco sono quadri convenzionali (e forse un po’ stereotipati) dell’universo adolescenziale americano e sembrano una trasposizione contemporanea e più disillusa dei contenuti dei vari teen-movies degli anni ’80.
Ciò che rende il film un’opera prima molto interessante, quindi, non è la scrittura, ma l’approccio delicato della Coppola alla storia e soprattutto ai suoi personaggi, sottolineato da una fotografia morbida e dal suo gusto musicale. Particolarmente felice si è rivelata anche la scelta dei giovani interpreti, tutti perfettamente credibili e adatti al ruolo.
Paradossalmente, l’unico fuori luogo è l’auto compiaciuto James Franco: si ha la sensazione che ormai sia così sicuro del proprio talento da permettersi di poter prendere sotto gamba i ruoli minori.
Certo, ci sono molti difetti, come l’eccessivo stereotipare alcuni personaggi di contorno o il chiudere il film con una metafora troppo scontata, ma complessivamente ne risulta una pellicola piuttosto matura e solida, soprattutto per una ventiseienne esordiente, anche se di cognome fa Coppola.
La frase:
"Se potessi tornare indietro, sarei un re!".
a cura di Luca Renucci
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