Croenenberg è un regista poliedrico, capace di offrire, nel bene e nel male, sempre una visione autoriale ed estrema sulle tematiche che tratta. Questo Cosmopolis è un lucido e feroce sguardo sulla società perduta del mancato "sogno americano". Agendo per sottrazione ma senza sfociare in una operazione meramente indie, Croenenberg ci introduce alla figura di un dissoluto Nessuno che bazzica strade cittadine per raggiungere insospettabili barbieri saggi, parlando con questo e quel personaggio del più e del meno in una limousine funerea. La morte del cinema. Il film vorebbe essere (e lo è, in parte) una decadente riflessione su una miriade di argomenti, quasi tutti riconducibili a strutture sociali, vita, morte, potere. Peccato che il lungo dialogo del protagonista (un pessimo Pattinson, al solito) con i suoi deuterogonisti (ottimi quanto sprecati, soprattutto Giamatti) non sia altro che un profluvio di parolone da mediocre piece teatrale. Non c'è pathos, non c'è costruzione, non c'è cinema. Escluso un tiepido recupero nelle scene finali, tutto Cosmopolis è un vuoto calderone di parole che non brillano, non ispirano, fanno riflettere solo gli sprovveduti e non creano trama, personaggi, storie. Ridondante e forse buono per la radio.