Si è gia tanto e giustamente detto dell'eccezionale,come sempre,prova di Servillo, capace, con poche parole e la sola potente mimica del proprio volto, di tratteggiare con precisione il personaggio di Marino Pacileo, che alla fine diventa uno che ti sembra di aver urtato tante volte alla stazione di Piazza Garibaldi o di aver visto sgusciare tra le strade della China Town napoletana. Il regista, la cui prova è tecnicamente strabiliante, si aggrappa a Servillo, che praticamente è sempre in scena, lo rincorre, gioca con le sue espressioni ora ciniche, ora disincantate, spesso strafottenti. Ma non solo. Gorbaciof è in più il grande film italiano sull'incomunicabilità e sulla azioni tragiche alle quali niente puo' condurti se non l'amore. Due mondi, due solitudini e due disperazioni che si incontrano per caso e tendono ad avvicinarsi a dispetto dell'enorme ostacolo di non potersi parlare, per vie di due lingue opposte. Memorabili sono in tal senso due scene, entrambe fatte di lunghissimi piani muti: la prima al mercato di via Duchesca, dove Pacileo segue l'amata nascondendosi tra le bancarelle ma avvicinandosi sempre più, fino a venire metaforicamente allo scoperto quando le bancarelle finiscono; la seconda al centro commerciale, quando il contatto tra le due solitudini è finalmente avvenuto ed il regista insiste sulle risate, anche quelle mute, dei protagonisti ‘quasi’ amanti. Gorbaciof ha una trama che puo' sembrare sbrigativa solo a chi non conosce la città, e neanche immagina quanto velocemente ci si puo' mettere nei guai a Napoli, ma Gorbaciof è anche il film che puo' permettersi che la prima parola dell'intera opera sia un 'Afammocc' sospirato da Pacileo dopo 15 minuti di silenzio dall'inizio. Il finale rileva la mano in co-sceneggiatura di Diego De Silva, uno famoso per gli spiazzanti 'excipit' dei propri libri.