Se alla fine di un film, usciti dal cinema o spenta la televisione, vi piace avere quella tranquilla sicurezza di chi ha compreso senza grosse difficoltà una buona e rassicurante morale, allora vi piacerà sicuramente gustare due ore di vibrante avventura con questo "Albatross", uscito nel 1996 e diretto da Ridley Scott. Nell'estate del 1960 un gruppo di ragazzi americani di buona famiglia s'imbarca a bordo del brigantino Albatross, capitanato dall'inflessibile Shelton (Jeff Bridges), intenzionati a compiere su di esso l'ultimo anno del college. Ci si chiederà come i ragazzi trovino il tempo di studiare tra un vomito e una tempesta, ma poi si finisce per capire che la lezione che i nostri giovani impareranno a bordo dell'Albatross non ha nulla a che vedere con la scuola ma, cosa di gran lunga più importante, con la vita. Nel corso del film dovremmo comunque abituarci ad alcune incredibili incongruenze: mi riferisco, per esempio, al perdono che concedono il regista, i personaggi e lo spettatore al capitano Shelton che, dopo la tragedia di cui è responsabile, trova finanche da lamentarsi che gli vogliano togliere la patente nautica. Che dire poi del gruppo di scolarette olandesi che invadono la barca? Sembrano capitate appositamente per convincerci che i protagonisti sono eterosessuali. La plausibilità non vuole assolutamente compromettere la riuscita del film. Ridley Scott, in questa sua ultima fatica, non s'è voluto avventurare neanche un po'-come fanno i suoi personaggi- nelle vergini terre dello sperimentalismo e ci propone un lavoro perfettamente attaccato ai canoni dei film di formazione/avventura. Sembra di averle già viste centinaia di volte quelle scene zuccherine traboccanti di morale e dei mille insegnamenti, per nulla cifrati, che bisogna sorbirsi dalle vive parole dei personaggi, come ad esempio "se ti impegni a non copiare, ti aiuteremo noi" oppure "affronta ciò che temi e non lo temerai più" (le banalità non finiscono mai), e per finire " tu ci hai insegnato ad essere un gruppo, non tradirci proprio adesso". Indubbiamente il regista è rimasto affascinato da "L'attimo fuggente" ed ha ritenuto doveroso citarne la scena finale (e forse non solo), mantenendo anche intatto l'atteggiamento anticonformista dello skipper/professore e quello di aspra ribellione nei confronti della solita società imbalsamata dalle formalità dell'equipaggio/classe. Forse sarebbe stato meno doloroso per tutti se il film non avesse avuto alcuna pretesa formativa (né per i gagliardi personaggi, né per lo spettatore), giacché si potevano godere i magnifici paesaggi costieri dell'America Centrale e una curata tecnica narrativa senza stancarsi dell'asfissiante moralismo.