Stremata dall'infinita attesa di un chimerico Godot, rappresentato da una corriera che la porti lontano da una scalcinata stazioncina di trasporto di un imprecisata localita' cubana, una donna invoca l'aiuto divino per trovare il cibo necessario a sfamare se' ed il bambino che l'accompagna e promette che, se riuscira' a trovare qualcosa da mettere sotto i denti, si rechera' a piedi in pellegrinaggio ad un famoso santuario. Dopo una rapidissima riflessione, pero', per dare maggior forza al voto appena espresso, corregge il tiro ed esclama : "Anzi, no, al santuario non ci andro'a piedi ma in treno, perche' cosi' e' piu' faticoso!".In questa battuta, tra le piu' riuscite del film, c'e' molto del gusto agrodolce, della grazia, dell'equilibrio e della vis brillante di "Lista d'attesa", l'ultimo film di J.Tabio, destinato (si spera) a lasciare una sia pur piccola impronta nel prevedibilmente zuccheroso panorama dell'incombente melassa natalizia..La storia e' quella, assai semplice, di una comunita' involontaria, di un eterogeneo gruppo di viaggiatori costretti dall'inefficienza della rete di comunicazione cubana ad un soggiorno coatto presso una diroccata stazione d'autobus : dall'incontro/scontro delle diverse personalita' (il finto cieco che esplicitamente omaggia il Gassman di "Profumo di donna", il giovane ingegnere innamorato, la ragazza sospesa tra la sicurezza offertale dal promesso sposo occidentale e la poesia dell'incertezza domestica, il burocrate ottuso, l'amministratore della stazione, e via discorrendo) scaturisce un clima positivo, di collaborazione totale, di smania di darsi da fare, comunque, in qualche modo, per superare i molti limiti e le vistose pecche del socialismo reale (ma perche' i pezzi di ricambio devono sempre e comunque venire dalla Russia o dalla ex Cecoslovacchia? ma perche', per pensare di aver dato un fattivo contributo alla risoluzione di un problema, si deve ritenere che sia sufficiente avvisare telefonicamente "chi di dovere"?)..Il film, invero doppiato non sempre felicemente, svicola quasi sempre dai pericoli della retorica e riesce anche a convincerci della bonta' di un po' di sana Utopia, quella stessa che, sul finire, affratella i protagonisti in un delirio onirico comune che, una volta dissoltosi, li restituisce alla realta' con un pizzico di ottimismo e di voglia di fare in piu'. In questo piccolo quadro di riuscito equilibrio si segnalano alcune gag di gran gusto (tra tutte, l'improvvisato funerale di uno dei membri della comunita', con la bara ricavata da un piccolo archivio dell'ufficio dell'amministratore), il buon ritmo ed il clima contagioso di allegria : non e' certo la Cuba delle agenzie di viaggio quella descritta da Tabio, ma il suo popolo ne esce comunque vittorii