non voglio entrare a gamba tesa sugli sfondi politici sociali della francia operaia e concreta circa la realtà distruttiva di oggi che noi tutti viviamo per il fenomeno della globalizzazione e la crisi mondiale che quest'ultima ha generato mi limito ad incantarmi per come venga affrontato il tema dei rapporti umani estrpolati dai tipici ruoli servi padroni genitori figli ladri derubati borghesi proletari ecc,mi serve solo dire che è meglio che esistano film cosi.applausi a scena aperta.
Cari cinèphils, urge un aiutino per rispondere ad una domanda angosciante. Perchè Guediguian ha realizzato per tre quarti del tempo a sua disposizine un film perfetto; perfetti lo sviluppo armonico del tema, i dialoghi veri e plausibili, il ritmo, i tempi, gli attori al top, la trasmissione diretta dallo schermo allo spettatore degli odori, sapori, profumi, colori di Marsiglia. l'elogio - da antologia - per il marie brizard, mentre per il restante quarto è un fiacco rotolare verso il finale strappalacrime talmente scontato e telefonato, da lasciare il ciglio inevitabilmente asciutto? Perchè? Cosa gli è successo? Un improvviso crampo alla mano, una paralisi della fantasia con il produttore che sollecita: devi finire il film!? Chissà - Peccato: per il classico pelo le nevi del kilimangiaro ha mancato l'iscrizione nella main list dei piccoli grandi capolavori del cinema..
In quest’opera, per la prima volta, Guédiguian ci racconte il possibile tramonto dei valori della sua classe di riferimento, il proletariato. Lo fa con il tocco leggero e un po’ lento, salvo alcune sequenze più forti, che è la sua cifra, a metà tra riflessione profonda e dolce populismo. L’elemento su cui calca la mano è quello favolistico che caratterizza il racconto di atti umani buoni e generosi. Per recuperarli e goderli senza sentirci buonisti e fuori moda, non rimane che trasportarli in un’atmosfera da favola. Questo accade nella conclusione del racconto, ingenua e pure sentita come vera, tanta è la verità dell’uomo Guédiguian. Nella prima parte il film muove invece da un avvenimento di cruda realtà. Nei cantieri navali di Marsiglia (solito ambiente caro al cuore e all’infanzia dell’autore) è in atto il sorteggio per il licenziamento di venti operai a causa di una ristrutturazione aziendale. Tra i senza lavoro anche Michel (Jean Pierre Darroussin) ormai sulla cinquantina, sindacalista di sinistra da trenta anni, che ha voluto per equità mettere anche il suo nome tra gli altri e verrà sorteggiato. Comincia così per lui e l’amata compagna di vita Claire (Ariane Ascaride, sua moglie nella realtà) un’esistenza fatta di piccole cose in cui ciascuno cerca di rendersi utile traendone qualche soldino in più ma godendosi ritmi più lenti di vita, un tantino di imborghesimento per intenderci. Tale condizione verrà sconvolta da una rapina subita in casa dalla coppia insieme al cognato e alla sorella di lei. Il danno materiale sembrerà quasi nulla rispetto allo scatenamento di considerazioni, rabbie, malinconie, amarezze che genera la scoperta di uno dei responsabili del reato. Si tratta di Christophe, ex operaio anche lui, licenziato insieme a Michel e da lui riconosciuto e denunciato. Però via via che si chiarisce la situazione problematica in cui il giovane ladro si trova, le vittime del torto cadono in una crisi che le porta a rivedere (confermandole però alla fine come necessarie, oggi più che mai) le loro storie e le loro idee. Scopriranno così di avere dei figli molto più egoisti di loro, di aver sottovalutato la rabbia cieca del cognato che è anche il miglior amico, di non essere sicurissimi come prima l’uno dell’altra. Attraverso questa meditazione (a volte un po’ schematica, altre troppo ottimistica) su temi che riguardano tanta gente, nella conclusione una silenziosa intesa ritrovata nella coppia e nel gruppo amico-parentale suggellerà il racconto. Guardando questo film viene in mente quello di Aki Kaurismaki, Miracolo a Le Havre, anch’esso visto di recente. Sugli attori e la loro umanità disinvolta, sulla Marsiglia solare dei vicoli e delle casette del quartiere sul mare, niente da aggiungere a quello che vale per tutte le altre opere del regista: esse sono il frutto di un amore e fedeltà ricambiati.
Un film che avvicina, intenso e poetico. Non c'è a mio avviso un attimo in cui ci si annoia, è strutturato con molta attenzione e gli attori sono eccezionali. Mi è piaciuto molto.
Non male questo film, ma spesso i film francesi mostrano una certa rigidità che va a scapito dell'umanità dei personaggi: il sindacalista piccolo borghese, il licenziato rapinatore per necessità che, automaticamente, fa sentire in colpa il sindacalista di cui sopra....
Mi sono venuti in mente i due film dei fratelli Dardenne che ho visto in passato: il disagio sociale è là visto in un'ottica molto più concreta e meno 'ideologica'.
Come dico, qui è tutto un po' troppo inquadrato in schemi, comunque il film si fa vedere. Voto 7.