Gian Maria Volontè semplicemente da Oscar. Triste pensare che il mondo del cinema si sia quasi completamente dimenticato di lui, non solo post mortem, ma anche quando era ancora vivo. Chissà cosa avrebbe pensato il buon Volontè quando ha visto consegnare un Leone d'Oro alla Carriera a Paolo Villaggio!
35 anni fa, dunque, il cinema italiano riusciva a produrre un film così strano e particolare, che anticipa manie, eventi e costumi che caratterizzeranno tristemente i decenni a venire. Grande Florinda Bolkan, in una parte adattissima, grandi anche gli attori non protagonisti, ognuno calato alla perfezione nel proprio ruolo. La musica fa il resto...un vero capolavoro.
Amara considerazione finale: 35 anni fa si facevano film del genere in Italia, con pochissimi soldi, tanto coraggio (un poliziotto assassino del 1970 che dice di votare socialista!), tante idee e tanta arte, nel vero senso del termine, raccontando la realtà e addirittura antricipandola sotto molti aspetti. Oggi sarebbe possibile fare un film del genere? Risposta ovvia, no!
Resto stupito dal fatto che non ci sia ancora nessuna opinione su questo bellissimo film.
Dai più definito come un semplice film politico, questo capolavoro vince le barriere del tempo grazie alla sottile "indagine" psicologica che Petri fa di ogni personaggio che mette in scena sapientemente. A primo acchito è facile individuare nell'ispettore un semplice ingranaggio della macchina più complessa del potere ( a testimonianza di ciò ricordiamoci che il protagonista non ha nome e cognome ma è chiamato semplicemente "dottò"), il cui fine è quello di garantire la stabilità del potere, combattendo qualunque ondata eversiva ( celebre è il monologo dell'insediamento all'ufficio politico). Ma attenzione, sarà lui stesso a verificare se il "potere" è in grado di giudicare chi lo detiene. Lui assassino della sua amante, è combattuto se mettere gli inquirenti sulle sue tracce o sviare le indagine: una disocciazione interna per chi è abituato ad usare il potere. Alla fine, riconoscendo l'inadeguatezza di chi conduce le indagini sul delitto, farà la sua confessione di colpevolezza che, seppur in sogno, sarà rifiutata dai suoi superiori, e si trasformerà in una paradossale confessione di innocenza: alla fine, "l'ingranaggio" sembra già pronto a reintegrarsi nella macchina del potere. Al di là della vicenda narrata importanti, dicevo, sono i risvolti psicologici: l'autorità qui rappresentata potrebbe essere calata addosso a chiunque occupa una posizione dominante, come in un rapporto padre-figlio, quale sembra essere il rapporto tra l'ispettore e Augusta Terzi, in cui lui si presenta come modello inattaccabile e costringe la donna a ritornare bambina e quindi a sottomettersi, a sottostare all'autorità.. ma non per sempre, perchè la donna si ribella, accusando l'uomo di infantilismo, di essere incapace di amare. Ecco che la maschera di chi vuole assumere una posizione dominante viene meno ( rivelando la fragilità umana) allorchè si trova non più in questura, ma casa di una donna che non vuole che la sua abitazione diventi una camera di sicurezza, dove lui pretende di sapere tutto su tutti. Da notare, a tal proposito l'arredamento diverso che troviamo tra la casa della donna, caratterizzato da linee mosse, ondulate, prolungamento dello spirito libertino della donna, e le linee squadrate, precise, rigorose dell' ufficio dell'ispettore. Non dimentichiamo oltre tutto la colonna sonora di Morricone, che non è semplice commmento alle vicende narrate, ma si integra con esse e con la psicologia del personaggio. Un'ultima riflessione è sulla straordinaria bravura di Gian Maria Volontè (troppo presto dimenticato), che qui volutamente attua una recitazione che rende in pieno sia il comportamento che la psicologia di chi occupa posizioni dominanti: vibrante e sofferta allo stesso tempo, con un linguaggio e un tono della voce davvero disarmante.
Questo è un film commovente,in bilico fra il thriller,il grattesco e il film di denuncia.pur toccando vari generi riesce grazie alle scenografie di ugo pirro,alla mano sicura di elio petri ed alla magistrale interpretazione di gianmaria volontè ad analizzarli tutti i temi preposti, e svilupparli.come può un delitto passionale risolversi in un omicidio politico? come può l'assasino sfuggire a tutte le indagini su di lui?grazie soltanto alla sua integra moralità e rispettabilità ,frutto di una ipocrisia che viene denunciata dal regista in maniera molto efficace;e grazie ad un grande spauracchio dell'epoca:il '68,con tutti i suoi figli che lottano per la giustizia e la lealtà,alcuni con ingiustificabili metodi violenti,ed altri con idee e passione.sarà proprio uno di questi l'incolpevole antonio pace ad essere l'indiziato pricipale,lui che è l'unico testimone dell'accaduto,che rinuncerà alla libertà per punire un volontè ormai stanco di fuggire ,e reo-confesso di quell'orrore;ma anche nel momento della confessione e della rivelazione del movente,non sarà creduto perchè in possesso di una verità trppo brutta per un modo così bello.tutta la storia vive momenti indimenticabili grazie anche alle colonne sonore di ennio morricone anche qui formidabile come sempre.
Thriller psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere, che analizza in chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi. Il film attribuisce ai rappresentanti del potere un'eccessiva coscienza (ancorchè negativa) del proprio ruolo e della propria funzione e così quello che alla sua uscita sembrò a molti un pregio, appare oggi un limite.
Resta invece molto convincente, anche per merito della perfetta interpretazione di Volonté, la descrizione di "un piccolo personaggio della piccola borghesia meridionale, che non ha la possibilità di accesso a un potere diverso da quello burocratico e che sfoga nell'autorità le sue repressioni sessuali e di classe.".
Il film è capostipite di una serie di film degli Anni Settanta basati su funzionari corrotti e patologie da manuale. C'è in Petri la dolorosa coscienza di un problema che interessa tanto i regimi totalitari, quanto le democrazie malate.